Questa cavalcata leggendaria ha inizio nel 1971 quando il presidente Umberto Lenzini nomina Tommaso Maestrelli, alla guida del Foggia retrocesso l’anno precedente, tecnico della squadra capitolina appena scesa nel campionato cadetto; il resto, è storia.
La storia
Il tecnico pisano trova alcuni dei protagonisti del futuro Scudetto, come il bomber Giorgio Chinaglia, il capitano Pino Wilson, bombardino Franco Nanni e la bandiera Vincenzo d’Amico; organico che negli anni seguenti andrà a rinforzare con gli innesti di Luigi Martini, Giancarlo Oddi, Felice Pulici, Sergio Petrelli, Mario Frustalupi, Luciano Re Cecconi e Renzo Garlaschelli, che andranno a formare l’undici titolare.
Nella prima stagione i ragazzi di Maestrelli conquistano facilmente la promozione in serie A, classificandosi 2°; nella seconda si rivelano una sorpresa del campionato posizionandosi 3° a sole due lunghezze dalla Juventus Campione d’Italia. Nella stagione 1973-74, dopo anni di quasi anonimato e la realizzazione di avere una delle formazioni più forti della storia biancoceleste, l’inaspettato 3° posto della stagione precedente fomenta l’animo di squadra e tifosi, che registrano una capienza media allo Stadio Olimpico di 49 mila spettatori durante la stagione.
La squadra pone subito i presupposti per ambire al primo tricolore, rincorrendo sin dalle prime giornate Napoli e Juventus, arrivando clamorosamente alla sosta natalizia da prima in classifica e conducendo il campionato combattendosi il primato con i bianconeri nella seconda parte di stagione. La Lazio, che non aveva mai lasciato la vetta della classifica dal 23 dicembre ’73, ha l’opportunità di vincere il campionato alla penultima giornata ospitando all’Olimpico il Foggia, costretto a sua volta a pareggiare per non retrocedere.
Nei giorni precedenti alla partita, nella Capitale regna il fermento più assoluto: i tifosi assediano le sedi per i biglietti, e chi non li ottiene si apposta sulla Madonnina armato di cannocchiale: nessuno vuole mancare all’appuntamento con la storia e sin dall’alba lo stadio si riempie. Dopo un primo tempo bloccato sullo 0 a 0, la tensione aumenta e la paura di farsi sfuggire un’occasione più unica che rara si insinua nel cuore degli 80 mila presenti all’Olimpico, che vedono i giocatori troppo tesi e con il nervosismo che gli taglia le gambe.
La svolta arriva al 58° minuto quando un cross dell’ala destra Renzo Garlaschelli procura un provvidenziale calcio di rigore alla formazione capitolina, che il bomber Giorgio Chinaglia, protagonista assoluto di quella cavalcata che con le sue reti aveva portato sempre più vicini i biancocelesti al tricolore, realizza nel silenzio tombale dell’Olimpico. Esplode il putiferio nello stadio colmo di bandiere, perfino tifosi giunti da Australia e Brasile scoppiano di gioia. Dopo un’invasione di campo di massa dei tifosi laziali all’88esimo che aveva rischiato di procurare una sconfitta a tavolino, l’arbitro fischia definitivamente la fine e alle 17.45 del 12 maggio 1974 la Lazio è Campione d’Italia per la prima volta nella sua storia.
Giorgio Chinaglia, il grido di battaglia
Giorgio Chinaglia fu uno dei principali artefici dello Scudetto, idolo dei tifosi e trascinatore della squadra dal suo arrivo nel 1969 fino alla sua partenza nel 1976, periodo in cui fu il miglior marcatore della squadra per sette anni consecutivi, segnando novantotto gol in duecentonove partite.
Rappresenta quel calcio “di una volta” e l’archetipo di un attaccante rapace d’area, imponente di stazza e non tecnicamente superlativo. Un uomo di estrazione umile e dall’infanzia difficile forgiatosi da solo con fatica e senso del sacrificio che, nonostante i difetti, quali il suo essere aggressivo, irriverente, narciso e arrogante, si è fatto strada nei cuori biancocelesti con la sua etica del lavoro.
Un calciatore capace di essere l’idolo delle folle, un condottiero carismatico che ancora oggi è glorificato dalla Curva Nord. Chinaglia detiene il record di miglior media gol/partite in campionato per un italiano tra Serie A e lega americana, dove militò con i New York Cosmos. Morì nel 2012 ed è sepolto al cimitero Flaminio a Roma insieme al mentore e amico Tommaso Maestrelli.
La squadra: “’Na banda de’ pazzi”
Queste le parole di Giancarlo Oddi, difensore titolare della mitica formazione, rilasciate per il documentario prodotto da Sky. In effetti, era una formazione atipica spaccata in due gruppi: quello di Chinaglia e del capitano Wilson e quello di Re Cecconi e Martini. Una squadra di canaglie, delle quali gli allenamenti sembravano più incontri di lotta libera che partitelle amichevoli di calcio: le due fazioni se le davano di santa ragione e non facevano sconti nemmeno per gli ospiti occasionali, come nel caso di Giancarlo Leone, figlio dell’ex Presidente della Repubblica, che racconta come nessuno abbia avuto pietà di lui quando una volta si allenò con la squadra.
Questa squadra folle rispecchiava la Roma violenta dell’epoca, piena di duri, indisciplinati e simpatizzanti di destra che differivano dai modelli del tempo di Juve, Inter e Milan. Come dirà poi il terzino Martini: “Eravamo una squadra di senza patria che solo esprimendo il proprio io ha potuto conquistare lo Scudetto, una squadra nella quale i calciatori dal lunedì al sabato si davano botte da orbi, poi, la domenica, diventavano una cosa sola indossando la maglia della Lazio, uniti per la vittoria”.
La Lazio del 1974 fu una squadra irripetibile, nel bene e nel male, che in pochi anni ha visto la sua ascesa e la sua caduta, una favola durata poco, che ha visto una storia di pistole, scontri, controversie e di una banda di pazzi, una grande squadra maledetta nella sua bellezza. Una Lazio grande, grande e maledetta.