“Sono una professoressa universitaria da ormai trent’anni, vedo cambiare davanti ai miei occhi gli interessi e l’impegno dei giovani e posso dire con certezza che quest’ultima generazione è ricca di studenti e studentesse disposte a fare tutto il possibile per cambiare lo stato delle cose quando si tratta di ambiente”. Non ha alcun dubbio Saskia Sassen quando parla del rinnovato impegno dei più giovani verso la causa ambientale. Lei che, oltre ad essere sociologa ed economista, tra le autrici più citate a livello internazionale in fatto di processi di globalizzazione, trasformazioni urbane e immigrazione, è anche docente alla Columbia University e alla London School of Economics e con i ragazzi ha a che fare quotidianamente. L’abbiamo incontrata a Bologna, dove è stata ospite della Summer School in Global Studies and Critical Theory (organizzata dall’Istituto Gramsci Emilia Romagna e dalla Fondazione Innovazione Urbana), ed è stata proprio quella l’occasione per riflettere con lei delle grandi sfide ambientali e soprattutto del risveglio delle coscienze più giovani, impegnati come non si vedeva da tempo in lotte e mobilitazioni di portata internazionale.
La grande ondata di scioperi globali per il clima - dai Fridays for Future agli Youth for Climate - ha infatti portato centinaia di migliaia di studenti a protestare per le strade e le piazze di tutto il mondo, chiedendo ai Governi di mettere in atto azioni concrete contro i cambiamenti climatici. “Ragazzi che vanno dai 19 ai 25 anni”, inquadra Sassen, con i quali si confronta proprio nelle sedi accademiche in cui insegna. Hanno sfilato dietro slogan come “There’s no planet B”, “Change the system not the climate”, “The earth is not dying it is being killed”, accompagnati dal volto e dalle parole di Greta Thunberg, l’attivista svedese che ha dato avvio agli scioperi studenteschi del venerdì a partire dalla sua città, Stoccolma. Sono stati ammirati, ma anche criticati, accusati di non essere sufficientemente consapevoli delle tematiche che portavano in piazza.
Eppure secondo Sassen “la maggior parte delle persone che si sono mobilitate, e ancora si stanno mobilitando, sono veramente consapevoli”. Chiaramente “è possibile che ci sia qualche eccezione”, ma prendendo ad esempio gli iscritti alla Facoltà in cui insegna, racconta che già nel loro piccolo nota un “significativo fermento e un desiderio di mettersi seriamente in discussione sulle buone pratiche quotidiane, il plastic free e tanto altro”.
Il cambiamento è in atto, quindi, e Sassen stessa lo definisce “realmente impressionante, se si considera che è bastata una sola generazione a realizzarlo”. Ben vengano in questo senso tutte le mobilitazioni simili ai Fridays for Future, un primo passo per cominciare a mettere in pratica azioni sostenibili: “Saranno anche piccole iniziative, ma possono fare una grande differenza”, commenta. Va ricordato, però, che “questo è solo l’inizio” di un lungo processo di “sensibilizzazione dell’opinione pubblica”, al quale andranno fatti seguire concreti interventi istituzionali.
A questa prima fase di mobilitazione è dunque necessario farne seguire una seconda, nella quale “andare a costruire delle ‘reti di intervento’ - come ha teorizzato la studiosa - che diano vita a una trasversalità di azioni in diversi luoghi simultaneamente”.
Il surriscaldamento globale, l’innalzamento delle acque, l’avvelenamento del suolo, l’espropriazione dei piccoli contadini dalle proprie terre: di fronte a tutto questo sono le istituzioni internazionali a dover agire, ma avranno un ruolo “importantissimo” anche le nuove generazioni. In definitiva, quindi, Sassen invita a non dimenticare mai “che con tutti i disastri che sono stati fatti nei decenni passati, la motivazione dei giovani d’oggi, seppur valida, potrebbe non essere sufficiente” e per questo - pur appoggiandola, ammirandola e rispettandola - ritiene sia necessario essere consapevoli che ad essa dovranno seguire azioni mirate. Da costruire e definire negli anni futuri.