È il 1956 e ci troviamo a Kyushu, un'isola a sud ovest del Giappone, più precisamente nella città di Minamata tragicamente celebre per uno dei disastri che ha coinvolto natura e uomo più crudeli della storia.
La malattia di Minamata
Qualcuno di voi avrà sentito parlare della malattia di Minamata, che prende il nome proprio dalla cittadina giapponese. Quasi 80 anni fa gli abitanti dell'isola iniziarono a notare qualcosa di strano: i gatti e i cani sembravano perdere peso troppo velocemente, gli arti si irrigidivano improvvisamente fino a determinare l'immobilità degli animali che spesso venivano colpiti da improvvise convulsioni e tremori, portandoli così alla loro morte. Dopo cani e gatti fu la volta degli uccelli, che talvolta cadevano privi di vita dal cielo, e dei pesci stranamente deformi.
La malattia misteriosa provocò sgomento e una preoccupazione non indifferente sia tra i cittadini che tra le autorità; ma la situazione si aggravò ulteriormente quando gli umani iniziarono a manifestare gli stessi sintomi degli animali se non peggiori: perdita della vista, disturbi gastrointestinali, paralisi di mani e piedi e perdita di memoria. Da subito si penso si pensò a un'epidemia, così dopo aver isolato i pazienti che vennero ritenuti potenzialmente contagiosi, si avviarono le ricerche per scoprire di che malattia si trattasse.
La causa della malattia
Si scoprì come prima cosa che la malattia, a differenza di quello che si temeva, non era contagiosa; come si trasmetteva allora e cosa provocava i sintomi? Iniziarono le prime rilevazioni ambientali e i dubbi scomparvero velocemente: si trattava di avvelenamento da mercurio. Minamata si affaccia su una baia che prende il nome dalla città ed è proprio in quelle acque che venne a galla la verità: poco distante dalla baia si trovava da tempo una fabbrica della Chisso Corporation, azienda chimica giapponese specializzata nella produzione di cristalli liquidi per display. Tra il 1932 e il 1968 la fabbrica rilasciò grandi quantità di acque reflue nella baia contenenti enormi quantità di acetaldeide e mercurio che attraverso l'azione di batteri e microrganismi si trasformò presto in metilmercurio, un composto estremamente dannoso per gli organismi viventi. Nella baia si rilevarono livelli di metilmercurio da 5,61 fino a 705 parti per milione, mentre il valore limite da non superare a livello internazionale attualmente è di circa 1 parte per milione.
Minanata era una città che faceva della pesca una grande risorsa, non solo in termini economici ma anche come alimento principale della dieta. Fu proprio l'assunzione prolungata di pesci, crostacei e molluschi contaminati che provocò prima l'avvelenamento di cani, gatti e uccelli, poi quello degli umani. In un primo momento l'azienda provò ad escludere la propria responsabilità, ma messa alle spalle da una tragedia in termini ambientali e sociali dovette ammettere la propria colpa. Ufficialmente le vittime della tragedia sono state circa 2200, ma non si esclude che il numero sia molto più elevato tenendo conto di tutte le persone decedute rapidamente quando ancora non si conosceva il motivo della malattia; ma anche tutti i nati di quegli anni affetti da deformazioni e disturbi ricollegabili a intossicazione da mercurio in gravidanza.
Il danno ambientale e la riqualificazione
Uomini e animali vennero colpiti duramente, ma anche l'ambiente non fu risparmiato affatto. Dopo la scoperta dei livelli tragici di mercurio la Prefettura di Kumamoto iniziò la riqualificazione e il trattamento del fondale della baia; fu un intervento dispendioso e duro che iniziò nel 1974 e si protrasse fino al 1990, per un costo finale dell'equivalente di quasi 372 milioni di euro. Nonostante il lavoro di bonifica ancora oggi i livelli di mercurio non sono a norma: il ricercatore Tetsuya Endo, professore presso l'Universita di Hokkaido, ha svolto un lavoro di ricerca dal 2002 al 2008 per ricercare e testare la quantità di metilmercurio nella carne di delfino consumata in larga scala nelle isole del Giappone del sud. I risultati si sono rilevati allarmanti e superano di 10 volte il livello sicuro fissato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità.