Come hai coltivato negli anni il tuo talento e che studi hai fatto per arrivare dove sei oggi?
Ho sempre disegnato per passione dai tempi della scuola, imparando da autodidatta. A un certo punto sono diventato abbastanza bravo da poter iniziare a lavorare da professionista e verso la fine degli anni ’80 ho contattato Giovan Battista Carpi. Durante il colloquio a Milano guardò i miei lavori e sparì per circa mezz’ora. Quando ritornò, aveva in mano una sceneggiatura. Era rimasto dal suo direttore molto tempo per cercare di convincerlo. È stato lì che ho cominciato. Quella sceneggiatura è stata la prima di una lunga serie di storie che ho disegnato negli anni.
Da Zio Paperone e il mistero dell’Olimpo si sono susseguite nuove pubblicazioni con la Walt Disney. Come è stato collaborare con la Disney?
Fino ad allora, disegnare era stato solo un hobby. Disegnavo quello che mi veniva in mente e non avevo bisogno di un riscontro. Quando ho cominciato a fare fumetti, queste problematiche sono emerse e ho dovuto lavorare sodo per un lungo periodo per sistemare tutti gli aspetti che non andavano. I personaggi dovevano essere disegnati in base a dei modelli ben definiti, dovevano saper recitare in un certo modo e la tecnica del disegno doveva essere quella standard. Nel mondo del professionismo bisogna fare un fumetto non per noi stessi ma per un pubblico che risponde a determinati gusti consolidati. Non sono concesse licenze, in particolare per chi comincia.
Secondo te, cos’è che rende intramontabili i classici Disney?
Non so dare una risposta perché il fumetto Disney in Italia ha avuto una sua evoluzione a sé stante da quello americano, distaccandosi dal modello originale e iniziando a vivere di vita propria; in Europa è per lo più scomparso o è rinato com’era in principio con un disegno ancora ispirato a Barks e a Taliaferro, i maestri che hanno creato i personaggi Disney. Si è sempre trasformato e adeguato ai tempi, passando da una generazione all’altra. Forse è per questo motivo che in Italia, almeno, il fumetto Disney è durato fino ad oggi.
Per un periodo hai insegnato. Com’è stato trovarsi dall’altra parte come guida e fonte d’ispirazione per altri artisti? Da cosa riconosci un talento?
Non mi piace insegnare, forse perché non sono un buon allievo e questo mi fa pensare che non riuscirei neanche a essere un buon insegnante. Tuttavia, proprio durante una lezione che tenni a Torino, conobbi uno studente che veniva spesso da me per mostrarmi i suoi disegni. Ascoltava i consigli che gli davo, al contrario di altri allievi che si rivelarono meno seri. Andava più in fretta degli altri, lavorava anche da solo e riusciva laddove i compagni non riuscivano seppur spiegando più volte. Questo è stato un fattore determinante. La scuola non lo aveva indirizzato verso nessuna casa editrice o dato dei contatti con cui cominciare. Poi, questo ragazzo ha iniziato a lavorare grazie a me perché ho presentato i suoi lavori in redazione. Siamo così diventati colleghi. Ovviamente se si è bravi e si frequenta una scuola, questa può aiutare a raggiungere prima l’obiettivo, ma si tratta di casi rari. Personalmente, non credo che una scuola artistica, che dovrebbe formare dei talenti naturali, serva molto in questo senso. Questi ragazzi si presentano, arrivano quando meno te lo aspetti. Se li vai a cercare, generalmente non li trovi.
Hai qualche consiglio da dare ai giovani che vorrebbero intraprendere la tua stessa strada?
Nonostante la crisi del mercato editoriale, penso che il fumetto in molte delle sue forme continuerà a vivere ancora per molto tempo. In questi anni, ad esempio, le cosiddette graphic novel stanno avendo molto successo.
A un ragazzo che ha talento e vuole disegnare consiglio però di guardare un po’ più ad ampio raggio, di non puntare esclusivamente su un prodotto cartaceo ma in generale su altre discipline come l’illustrazione, la pittura, la scenografia, la fotografia, la regia, il character design. Le quali, guarda caso, sono tutte imparentate con il fumetto o, se vogliamo vederla in maniera diversa, fanno parte di quelle competenze che un fumettista già possiede.