Chi fosse Fabrizio Frizzi lo sanno tutti, pertanto non c'è bisogno che stia qui a ricordarlo. Del suo garbo, della sua ironia, della sua gentilezza, della sua gioia di vivere, della sua generosità e della sua lunga e gloriosa carriera in RAI si è parlato pressoché ovunque, come è giusto che sia, dunque non potrei aggiungere nulla di originale.
Posso solo riflettere su ciò che avevo scritto qualche mese fa, in occasione dei suoi sessant'anni, quando avevo dato per certo che ormai fosse in salvo, pronto a riprendere la conduzione de "L'eredità" e a regalarci ancora tanta armonia e tante serate all'insegna della serenità familiare e di quel minimo di spensieratezza di cui si avverte, oggi più che mai, il bisogno. Lo scrissi con il retropensiero che non fosse veramente così, sperando che i miei auspici, e quelli di tutti noi, potessero trasformarsi presto in realtà. Lo scrissi con il dubbio di starmi illudendo ma lo scrissi ugualmente, in quanto non volevo rassegnarmi all'idea che un galantuomo ancora oggettivamente giovane potesse andarsene in questo modo, lasciando una figlia piccola e una moglie che adorava.
Fabrizio me lo ricordo bene. Me lo ricordo quando ero bambino, tornavo da scuola e aspettavo con ansia l'inizio di "Luna Park". Me lo ricordo mentre lo seguivo sdraiato sul divano o sul tappeto del salone e ricordo, ovviamente, i proverbi della Zingara che nonna annotava su un quadernino affinché potessi sempre indovinare la soluzione. Ricordo ancora che giocavamo tutti insieme, in casa, con quell'appuntamento pre-serale che distendeva e rilassava, che ci dava il senso di essere ancora di più una comunità e ci faceva sentire uniti e partecipi di un qualcosa in cui era facile riconoscersi. Ricordo che poi Fabrizio passò a condurre la puntata del sabato e non me ne perdevo una: insieme a Milly Carlucci, Baudo, Magalli, la Lambertucci, Bonolis, Anna Falchi, Mara Venier e Carlo Conti ha rappresentato uno dei simboli della mia infanzia felice e uno dei momenti più alti della televisione e della RAI, coniugando buon gusto, saggezza e qualità al servizio degli spettatori.
Frizzi e la Carlucci erano i miei preferiti: anni dopo avrei appreso che si stimavano e si volevano un gran bene, il che non mi ha stupito.
Li ricordo insieme a "Scommettiamo che...?", ricordo il Fabrizio attore e poi ho scoperto che sapeva anche cantare benissimo, con mia somma sorpresa, in quanto mi domandavo quanti mestieri sapesse svolgere, tutti con uguale professionalità e successo, questo geniale uomo di spettacolo che del suo maestro Corrado possedeva non solo la simpatia ma anche l'eclettismo.
Ricordo i pomeriggi e le serate su Rai Uno, dopo aver fatto i compiti: "Luna Park", il telegiornale e "Il Fatto" di Enzo Biagi, poi la prima serata, e in quel clima di speranza e di bella televisione, targata Siciliano e Zaccaria, in parte Celli e poi Freccero, Zavoli e molti altri ancora, si andava formando il mio immaginario e la mia visione del mondo e della vita. Alcuni di questi giganti ho avuto poi l'onore di conoscerli, di altri sono diventato addirittura amico, scoprendo che la loro umiltà e mitezza era pari alla loro immensa cultura e ricordandomi di quel bambino che guardava la tv e già allora si poneva degli interrogativi, a dimostrazione di quanto un servizio pubblico di buon livello possa avere una funzione pedagogica.
Frizzi non l'ho mai conosciuto, non ho mai avuto la fortuna di intervistarlo ma tutti coloro che l'hanno incontrato mi hanno detto la stessa cosa: era una persona autentica, sincera, gentile, un uomo perbene e un presentatore che nella vita di tutti i giorni era così come eravamo abituati a vederlo sul piccolo schermo, il che è cosa rarissima nel mondo dello spettacolo contemporaneo.
E a me viene voglia di prendere per mano quel bambino e di tornare a vedermi una puntata di "Luna Park", in un amarcord agrodolce e reso ancor più tragico dalla certezza che di quei giorni è rimasto ovunque poco o nulla.
Fabrizio, invece, rimarrà e questa è la sua più grande vittoria.