Attualità
Uccide la moglie e viene assolto. La sentenza del patriarcato
Il caso Gozzini e gli scandalosi precedenti che ci fanno riflettere sulla struttura della nostra società
Gaia Giarrusso | 14 dicembre 2020

Via Lombroso, Brescia, notte del 3 ottobre 2019.

Sono questi il luogo e la data in cui si è consumato un terribile femminicidio che vede come protagonisti Antonio Gozzini, il carnefice, e sua moglie Cristina Maioli, la vittima. Durante la notte l’uomo ha prima colpito la congiunta alla testa per poi accoltellarla sia alla gola che alle gambe. Gozzini soffriva di depressione, infatti la moglie avrebbe voluto farlo curare. Egli aveva però rifiutato le richieste della moglie, covando così in sé una forte gelosia ingiustificata che è giunta al culmine con l’omicidio, avvenuto durante un raptus incontrollato.

Assoluzione

Così dunque il processo riguardo il caso che si teneva da ormai più di un anno ha raggiunto una sentenza: Gozzini è stato assolto poiché si è trovato in «un vero e proprio delirio di gelosia», parole del consulente della Procura nella relazione in cui sosteneva l’incapacità dell’imputato di partecipare al processo, aggiungendo che «al momento dell’omicidio l’uomo era affetto da un disturbo delirante tale da escludere totalmente la capacità di intendere e di volere». Quindi la Corte d’Assise di Brescia ha prosciolto l’uomo dall’accusa di omicidio aggravato, nonostante il pubblico ministero l’avesse preferito condannarlo all’ergastolo.

Reazioni

Questa sentenza ha da subito suscitato forti reazioni che si sono viste in disaccordo con il risultato del processo. Antonella Veltri, presidente della Rete D.i.Re commenta «ci lascia esterrefatte» aggiungendo che si trattasse di «pregiudizi sessisti e di una visione patriarcale dei ruoli di genere, per cui il marito-padrone può "punire" la moglie, nel sistema giudiziario italiano»; il senatore Pd Mauro Laus aggiunge «inorridisco da uomo»; Fabio Roia, presidente vicario del tribunale di Milano infine aggiunge «desta non poche perplessità», certamente, spiega ancora Roia, «leggendo le poche notizie, sembra che l'uomo sia stato dichiarato incapace di intendere e volere perché i consulenti della difesa hanno riscontrato un vizio totale di mente che certamente non può risiedere negli stati emotivi e passionali, e la gelosia ne è il classico esempio, che per legge, art. 90 c.p., non possono incidere sulla imputabilità».

I precedenti

Il sistema giudiziario italiano però ha già emesso sentenze simili che hanno destabilizzato molte figure importanti come ad esempio con il caso di Michele Castaldo in cui la Corte d’Assise ridusse la sua pena da 30 a 16 anni, nonostante egli avesse ucciso la compagna Olga Matei sempre giustificando l’atto con una «soverchiante tempesta emotiva e passionale», determinata dalla gelosia. Si tratta quindi di sentenze corrette che si basano sulla costituzione e la giustizia o semplicemente di esiti fondati su una società basata su una visione patriarcale?

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