Attualità
Giorno della Memoria, la storia dell'allenatore dell'Inter Arpad Weisz
Dai successi in Serie A alla deportazione. Ma la sua luce non fu mai spenta
Raffaele Caliò | 27 gennaio 2021

Esattamente 76 anni fa le truppe sovietiche entravano nel campo di concentramento di Aushwitz. 76 anni fa finiva uno dei momenti più oscuri della storia occidentale moderna. I primi cinquant’anni del secolo scorso hanno coperto con un velo ciò che di bello era rimasto. Le persone, le storie personali sono state scaraventate nelle buie stanze dell’oblio e chiuse a chiave, ma è un'ingiustizia non ricordare anche la luce che nonostante tutto ha continuato a brillare. 

I successi

Rientra in questa categoria la storia di Arpad Weisz, allenatore di calcio che in Italia vinse 3 campionati: 1 con l’Inter (allora denominata Ambrosiana dopo le direttive fasciste sull’’autarchia linguistica’) e 2 con il Bologna. Arpad, classe ’96, nasce a Solt, in Ungheria, da una famiglia ebrea. Non lo si ricorda tanto per la carriera da giocatore, iniziata tardi a causa della Prima Guerra Mondiale e interrottasi presto e forzatamente a causa di un terribile infortunio al ginocchio, quanto che per i successi e per gli innovativi metodi di lavoro e di controllo dei giocatori nella vita extracalcistica. Dopo i primi quattro anni meneghini, sponda nero-azzurra, nei quali ha vinto lo scudetto della prima stagione del campionato italiano a girone unico da giovanissimo (solo trentaquattro anni), passa al Bari. Qua riesce a chiudere la stagione con la salvezza della squadra. Dopo un’altra parentesi all’Inter e una al Novara giunge a Bologna. Due scudetti e la vittoria del Torneo Internazionale dell’Expo Universale di Parigi del 1937.

Le leggi razziali

18 settembre 1938. Benito Mussolini a Trieste annuncia la promulgazione delle leggi razziali. L’Italia tocca il fondo. Una parte consistente di popolazione italiana diventa non italiana, diventa solo ed esclusivamente ebrea. Cittadini di serie A e cittadini di serie B. Cittadini ‘puri’ e  ‘non puri’. Arpad parte, va lontano, va dall’altra parte d’Europa, va in Olanda. Qua allena una piccola squadra fondata nel 1883, il Dordrecht (ora in serie B olandese). Ottiene prima la salvezza e l’anno dopo arriva quinto in campionato, così come l’anno successivo. Ormai l’allenatore ungherese è un loro concittadino, dopo tanto peregrinare (forse) Weisz trova casa. 

La deportazione

Nel maggio del 1940 le forze tedesche entrano nei Paesi Bassi occupandoli. Nel 1941 il regime nazista inizia le deportazioni degli ebrei in Olanda.  Nel 1942 gli ebrei sono costretti a portare la stella di David come segno riconoscimento. Weisz nell’agosto di quell’anno viene deportato, insieme a i suoi due figli e a sua moglie, nel campo di transito di Westerbork dove venivano raccolti i deportati destinati ad Aushwitz. Ad ottobre Arpad, Elena, Clara e Roberto partono verso il campo di concentramento, dove 15 mesi l’allenatore ungherese trova la morte nelle camere a gas. Dopo una vita dedicata al bel gioco, alla spensieratezza, al prato verde trova la brutalità dell’uomo nella peggiore delle sue rappresentazioni. La bestialità a cui fu ridotta la fine della sua esistenza, però, non sommergerà la libertà delle corse col pallone e le grida dalla panchina. L’orrido non sovrasterà mai il ricordo della bellezza della vita.

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