Attualità
Come sono cambiate le città, la pandemia dei senza dimora
Ai microfoni di Zainet, la cooperativa Binario 95 di Roma ragiona sulle sfide della povertà assoluta durante la pandemia: "Cambiamo il sistema, noi torneremo a vivere, molti resteranno per strada"
Alex Lung | 12 marzo 2021

Quando il 9 marzo scorso ci veniva chiesto di restare a casa per far fronte all'emergenza Covid, c'era una categoria di persone che pur volendolo non lo avrebbe potuto fare, ritrovandosi inoltre sradicata da ogni certezza del quotidiano. È il caso di coloro che vivono in situazioni di povertà estrema, i senzatetto. 

Si tratta di una realtà ben più presente di quanto sembri. In un'analisi del 2015, l'ISTAT stimava la presenza di circa 50mila persone senza fissa dimora sul territorio italiano, ma basandosi solo su quanti di essi richiedessero assistenza presso i centri di accoglienza come, ad esempio, le mense. Quindi, il fenomeno è certamente più esteso.

L'impatto della pandemia sui servizi agli ultimi

"L'incremento della povertà dovuto a pandemia e lockdown non ha influito sulle persone estremamente emarginate, che già non avevano nulla o quasi" dichiara ai nostri microfoni Alessandro Radicchi, presidente della cooperativa Binario 95, che da quasi vent'anni si occupa di dare assistenza ai senzatetto di Roma, "ne hanno sofferto piuttosto in termini di servizi". L'impatto della pandemia sulle loro vite consiste infatti principalmente in un cambiamento radicale del funzionamento di quei centri nei quali le vittime della povertà estrema trovano cibo, letti, servizi igienici e calore umano. "Con le regole di distanziamento e sicurezza imposte dai DPCM, i servizi si sono dovuti riadeguare: tavoli sui quali prima potevano mangiare dieci persone, ora per legge ne possono far sedere solo tre", illustra Radicchi, "questo ha costretto i centri come il nostro a una decisione difficile: o si accoglievano solo tre persone, oppure si facevano dei turni, con seguente dispendio maggiore di tempo e risorse". 

È mancato per mesi anche un reale supporto da parte delle istituzioni, contro le quali però Binario 95 non punta il dito: "L'amministrazione è fatta di persone, lo shock iniziale c'è stato per tutti e le autorità per muoversi necessitano di mesi per via della burocrazia". Ciò ha però portato le cooperative sociali a dover far fronte a spese ingenti e improvvise, anche per quanto riguardava i dispositivi di protezione: "Abbiamo ricevuto le prime mascherine della regione a fine estate, fino ad allora abbiamo speso migliaia di euro per procurarcele". 

Un'altra grande barriera per i servizi di assistenza è data dal fatto che, per accogliere qualcuno, è necessario essere certi della sua negatività al virus. "Si sono aperte situazioni di tutti i tipi: c'era chi si prendeva il rischio sbagliato di accoglierli contro il decreto, perché ovviamente veniva a mancare distanziamento; centri che aprivano le porte solo previa test sierologico; chi accettava ospiti solo con l'antigenico". Inoltre, la Regione Lazio chiede alle cooperative un tampone iniziale per ogni assistito, dieci giorni di quarantena in una struttura dove gli isolati siano separati dagli altri e un altro test negativo finale. "Al Binario abbiamo solo dieci posti, e già potevamo accogliere meno persone per rispettare il distanziamento, quindi una stanza-isolamento è stata ricavata dall'area degli uffici" racconta Alessandro Radicchi, "ma è impossibile gestire la situazione in questo modo: servivano e servono delle strutture-ponte".

Il danno psicologico

L'help center di Binario 95 ha continuato a rimanere aperto, nonostante le difficoltà del momento, garantendo una risposta immediata con la consegna ai bisognosi di kit igienici con gel disinfettante, mascherina e saponetta. Ma quello che gli operatori dello sportello hanno maggiormente notato è il disagio psicologico causato dal lockdown alle persone senza dimora: "Ognuno nella propria vita ha delle certezze, e quelle dei nostri assistiti sono il caffè offerto da qualche negoziante, i sorrisi dei passanti, il pendolare alla stazione Termini che dona loro dei centesimi, e perfino l'insulto di qualcuno; tutto ciò era sparito all'improvviso". Come spiega Radicchi, spesso gli uomini e le donne costretti a vivere per strada "non abitano più in loro stessi", le loro sicurezze esistono all'esterno. 

Non sono mancati neanche episodi percepiti come umilianti dalle persone senza dimora: "Alcuni poliziotti hanno applicato la legge alla lettera, facendo contravvenzioni a persone che non potevano stare a casa perché non ne avevano una: non è tanto la multa, che in ogni caso difficilmente pagheranno, è una questione di umiliazione". 

Al Binario 95 si è cercato di far mantenere una parvenza di normalità e di vera e propria esistenza rendendo i servizi H24, e creando un clima quasi famigliare durante i due mesi di lockdown. "I nostri ospiti ci hanno dimostrato una grande responsabilità civica e una forte fiducia negli operatori", commenta il presidente della cooperativa.  

L'assistenza psicologica offerta agli assistiti del centro è stata fondamentale: "In questo modo abbiamo capito come si sentivano e come vivevano quel momento davvero particolare".

Le lacune delle istituzioni

Binario 95 lamenta il fatto che, nonostante siano equiparati a degli infermieri, con tanto di tampone ogni quindici giorni, gli operatori sociali - quotidianamente a contatto con decine di persone assistite - non siano considerati una categoria prioritaria per la vaccinazione

Radicchi ci tiene a sottolineare di non voler criticare a prescindere le istituzioni: "Personalmente credo sia meglio puntare al costruire insieme, e a noi interessa creare un qualcosa che duri negli anni; il Binario 95 è qui da vent'anni, i sindaci di Roma sono stati quattro". Non manca però dell'autocritica nei confronti del terzo settore: "Magari dobbiamo imparare di più a stimolare le amministrazioni in una certa direzione".

L'appello del Binario 95

Gli operatori del Binario 95 credono che questo periodo si sia rivelato un faro sulla povertà estrema: "Forse stando nelle proprie abitazioni e andando a toccare la sensazione di limitazione, che per altri è paradossalmente quella di essere costretti fuori da una casa che non si ha, le persone si sono avvicinate ai problemi degli ultimi". 

Ponderando la sua esperienza con i senzatetto in questo periodo di emergenza, Alessandro Radicchi invita a mettersi nei panni di chi sta peggio: "Ciò potrebbe aiutarci a fare una radice quadrata dei nostri problemi, migliorando noi stessi, facendoci risolvere le sfide del quotidiano e permettendoci anche di capire le necessità altrui".

Chiaro anche il monito alle istituzioni: "La pandemia ha evidenziato le mancanze del nostro sistema: che sia quindi un'occasione per cambiarlo, ricordandoci che mentre noi torneremo a ballare, ad andare al cinema o al ristorante, molte persone rimarranno per strada. Il momento per imparare qualcosa è adesso". 

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