Facebook ha recentemente annunciato nuove misure relative agli account che abitualmente diffondono notizie false e sfruttano la piattaforma per fare disinformazione. L’iniziativa si inserisce nel programma di fact-checking lanciato da Facebook nel 2016, e prevede la collaborazione fra la piattaforma e una serie di fact-checkers indipendenti. L’obiettivo è fare in modo che meno persone siano esposte a contenuti falsi o fuorvianti.
Le nuove misure
In particolare, d’ora in avanti, quando si visiterà una pagina che ha ripetutamente condiviso questo tipo di contenuti, apparirà un pop-up che indica che la pagina ha avuto tale comportamento, insieme a un link di approfondimento che contiene le analisi condotte dai fact-checkers e le informazioni sulle iniziative di Facebook a riguardo. I provvedimenti contro i responsabili si tradurranno principalmente in una riduzione della visibilità e della distribuzione, come già avviene per i singoli post, che sarà qui estesa anche agli account e alle pagine. Non si può inoltre escludere una sospensione temporanea delle pagine e degli account coinvolti. Inoltre, le notifiche che un utente riceve quando uno dei suoi post è stato giudicato negativamente da un fact-checker saranno rese più chiare, e comprenderanno anche l’articolo di debunking scritto dal fact-checker, con l’invito a condividerlo con i propri follower.
Il contesto
Facebook è stato in più occasioni interessato da accuse e polemiche in merito al ruolo avuto nella diffusione di bufale e informazioni fuorvianti. L’enorme potere della piattaforma, che ospita una fetta importante del dibattito pubblico e rappresenta un luogo nel quale si formano e si rafforzano le opinioni di milioni di persone, rende Facebook un terreno di gioco importante, sia per la diffusione di bufale sia per la loro smentita. A questo si aggiunge l’immensa mole di dati raccolti dal social network a partire dall’attività degli utenti. La vicenda più celebre che ha coinvolto la piattaforma, generando importanti reazioni e investimenti verso una maggiore attenzione, è probabilmente lo scandalo scoppiato nel 2018 attorno alla società britannica Cambridge Analytica, coinvolta nella campagna di propaganda che sfruttava le informazioni a disposizione della piattaforma per manipolare l’opinione degli elettori in occasione delle elezioni americane e del referendum sulla Brexit nel 2016. I governi dei diversi paesi del mondo hanno da allora dedicato molta attenzione al problema, dalle celebri audizioni al Congresso dei leader delle big tech come Mark Zuckerberg, Jack Dorsey e Sundar Pichai, fino al “Codice di buone pratiche sulla disinformazione” introdotto nel 2018 dall’Unione Europea e aggiornato di recente. La questione è tuttavia molto complessa, e diversi fattori entrano in gioco.
Una questione complessa
Se infatti appare evidente il rischio derivante dalla diffusione di notizie false, non è così semplice trovare una soluzione. Uno dei problemi riguarda la trasparenza. La mole di dati condivisa online rende sostanzialmente impossibile un controllo manuale dei contenuti pubblicati (che pure in certi casi avviene), e per questo i post sui social network sono regolati da algoritmi, sistemi automatizzati le cui regole non sono tuttavia sempre note al grande pubblico. Inoltre, anche quando vengono coinvolti enti esterni, come nel caso dei fact-checkers di Facebook, sapere come operano diventa fondamentale. Questo ha un valore particolarmente rilevante per piattaforme di tali dimensioni, che hanno una ruolo fondamentale nell'ospitare buona parte del discorso pubblico.
Un’ulteriore questione, di grande importanza, riguarda il ruolo stesso delle piattaforme. Esiste infatti una differenza fondamentale, anche sul piano giuridico, tra una realtà che mette a disposizione uno spazio o un supporto tecnologico senza però interessarsi di quanto su di esso viene pubblicato, e una realtà che invece pratica un controllo di tipo editoriale sui contenuti, e che risulta dunque pienamente responsabile di ciò che si pubblica. Le piattaforme oggi si trovano in una posizione ibrida, nella quale non possono, per via della mole di contenuti, svolgere il controllo capillare che una gestione editoriale imporrebbe, ma al tempo stesso prendono decisioni su ciò che è presente sulle piattaforme, agendo sulla distribuzione, cancellando account, e, a volte, intervenendo in maniera più diretta. La questione è emersa, ad esempio, attorno alla decisioni di Twitter di aggiungere un disclaimer al di sotto di alcuni tweet dell’ex presidente americano Donald Trump, definiti fuorvianti o non attendibili.
La polemica contro i social network, accusati di censurare le opinioni discordanti, è spesso emersa in diversi contesti, ma ha trovato terreno particolarmente fertile in alcuni ambienti legati alla destra americana. Sono così nate realtà come Parler, un social network che promette di essere uno spazio libero da censure politiche, a differenza, secondo i suoi promotori, delle piattaforme più diffuse come Twitter o Facebook. Se non si può parlare dell'esclusione dai social come di una vera "censura", poiché le decisioni di una piattaforma non sono equiparabili a quelle di un governo, l'impatto di una tale decisione è certamente rilevante dal punto di vista della visibilità, una valuta fondamentale nel mondo contemporaneo.
A complicare la questione, inoltre, entra in gioco il fatto che un social network abbia un guadagno economico dalle conversazioni che vi si svolgono e dal sistema di inserzioni pubblicitarie ad esso collegato. Se dunque la diffusione di bufale risulta un elemento negativo agli occhi dei potenziali investitori, che ne sarebbero danneggiati a livello di immagine, è ugualmente vero che i post che scatenano il dibattito e spingono all’interazione sono favoriti dalla piattaforma. E molti post di tipo complottista o con notizie non veritiere rispondono a queste caratteristiche.
La questione, dunque, è molto complessa. Il ruolo delle piattaforme è centrale nel mondo contemporaneo, e ha ricoperto un ruolo ancora più centrale nell’ultimo anno e mezzo, quando la pandemia di Covid-19 ha generato una vera esplosione di notizie, da alcuni definita con il neologismo “infodemia”, e la lotta alla disinformazione in un campo delicato come quello sanitario è apparsa subito una priorità per tutti. Molti sono i fattori in gioco, ma una cosa è certa: da grandi poteri derivano grandi responsabilità. E ciò che vale per la rete di un ragno, tra le pagine di un fumetto, vale anche per l’altra rete, ben più grande, nella quale tutti ci troviamo a vivere.