Il telescopio spaziale James Webb, di Nasa, Agenzia Spaziale Europea e Canadese, potrebbe aver catturato le prime ‘stelle oscure’: sono stelle completamente diverse da quelle che conosciamo, infinitamente più grandi e luminose del Sole e la loro esistenza non è stata ancora dimostrata. Sono stelle misteriose in quanto sarebbero alimentate dalla materia oscura, ossia dalla materia invisibile che costituisce il 25% dell'universo e la cui composizione è al momento sconosciuta. A rendere particolarmente interessante la nuova osservazione del telescopio Webb c'è dunque il fatto che potrebbe aiutare a fare un po' di luce sulla materia oscura.
I tre candidati a stelle oscure, inizialmente classificati come galassie, sono stati individuati dal gruppo di ricerca guidato dall’americana Colgate University e l'ipotesi è pubblicata sulla rivista dell’Accademia nazionale americana delle scienze, Pnas.
Secondo la teoria delle stelle oscure, al centro delle prime protogalassie ci sarebbero stati ammassi molto densi di materia oscura, insieme a nubi di idrogeno ed elio. Quando questo gas ha cominciato a raffreddarsi, sarebbe collassato trascinando con sé la materia oscura: quest’ultima avrebbe impedito al gas di dare il via alla normale reazione di fusione nucleare che alimenta le stelle e avrebbe invece portato ad accumulare altro gas e materia oscura, formando astri milioni di volte più massicci del Sole e fino a 10 miliardi di volte più luminosi.
I ricercatori guidati da Cosmine Ilie hanno individuato 3 possibili candidati tra i dati raccolti dal Jwst, inizialmente classificati come galassie antichissime, esistite tra 320 e 400 milioni di anni dopo il Big Bang. “Che ci crediate o no – commenta Katherine Freese dell’Università del Texas ad Austin, co-autrice dello studio – una stella oscura avrebbe abbastanza luce per competere con un’intera galassia di stelle”. Se questi oggetti si rivelassero davvero stelle oscure, aiuterebbero anche a risolvere uno dei problemi creati da Webb: il telescopio ha infatti individuato troppe galassie massicce nell’universo primordiale rispetto alla quantità prevista dalle attuali teorie cosmologiche. “Se alcune di queste galassie sono in realtà stelle oscure – conclude Freese – i modelli concordano molto meglio con le osservazioni”.
(ANSA)