È stato appena approvato il cosiddetto “decreto Ferragni”, con l’obiettivo di aumentare la trasparenza sui prodotti il cui ricavato è destinato alla beneficenza. L’opinione pubblica si spacca in due: applausi per aver colmato un “vuoto legislativo” e polemiche sulla velocità con cui si è risolto un problema, a detta di alcuni, non di primaria importanza.
Il decreto
Dopo il caso Balocco che ha reso Chiara Ferragni protagonista di scandali e presunte truffe, dopo la stretta dell'Agcom sulla pubblicità trasparente degli influencer arriva anche un nuovo decreto: “l’obbligo di riportare sulle confezioni, anche tramite adesivi, alcune informazioni specifiche tra cui l’importo complessivo destinato alla beneficenza, ovvero il valore percentuale sul prezzo di ogni singolo prodotto”. Inoltre sono previste sanzioni che partono da 5mila euro per arrivare a un massimo di 50mila con l'obbligo di donare la metà delle sanzioni in iniziative di solidarietà. A spiegarlo è stato Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy il 25 gennaio in conferenza stampa.
Chi si complimenta...
In moltissimi si sono detti soddisfatti di un governo che finalmente si impegna a risolvere evidenti problemi in tempi brevi e con leggi ad hoc. C'è poi una questione su cui di discute da tempo e che vede al centro dell'attenzione l'esigenza di nuove leggi per regolare le attività di un campo sempre più ampio e diffuso, l'imprenditoria digitale.
Rompe il silenzio anche Chiara Ferragni dichiarandosi "lieta che il governo abbia voluto velocemente riempire un vuoto legislativo".
...e chi si lamenta
Non tutti hanno apprezzato il decreto, o meglio, non tutti hanno apprezzato l'estrema velocità con cui il governo si è impegnato a risolvere un problema che sembra essere sorto da relativamente poco tempo quando di "vuoti legislativi" da colmare ce ne sono già molti, da tempo lungo e di primaria importanza: tra i più citati sul web leggiamo la necessità di nuove misure sull'istruzione e sulla sanità.
Altri, soprattutto dal mondo dell'avvocatura, lamentano la creazione di una legge specifica che non aggiunge nulla alle norme già esistenti, anzi, "rischia di ridurre le sanzioni che l'Antitrust potrà sancire. Il limite sarà di 50mila euro, quando per lo scandalo Ferragni le due società dell'imprenditrice sono state condannate per circa 400mila euro ciascuna", spiega l'avvocato Massimiliano Dona.