"Lu Prituri", come affettuosamente i partannesi chiamavano Rocco Chinnici negli anni in cui svolse qui la sua attività professionale dal 1952 al 1966, è un nome che ancora si sente in paese: durante quei dodici anni, infatti, Chinnici ha costruito giorno dopo giorno la sua professionalità e il suo modo di interpretare il ruolo di magistrato, diventando un punto di riferimento per la cittadinanza. Nell’avanguardistica attività divulgativa di una cultura della legalità, Chinnici tracciò sapientemente i contorni e i modi di agire della mafia siciliana, pur senza fare ricorso alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e basandosi pertanto esclusivamente sulle proprie acquisizioni probatorie.
«Era attento ai bisogni degli individui, li rispettava chiunque fossero, e teneva la porta aperta per tutti», ricorda la figlia Caterina Chinnici nel libro È così lieve il tuo bacio sulla fronte. «Ha costruito un legame tale con la gente della zona che ancora oggi lì lui è lu prituri, e gli anziani tra- smettono il ricordo del suo modo di essere e di fare ai giovani».
Abbiamo contatto telefonicamente Antonino Rametta, presidente emerito e tra i fondatori della Fondazione Rocco Chinnici, costituita il 24 luglio 2003 in occasione del ventesimo anniversario della tragica uccisione del Magistrato. «Era una figura eccezionale, uno di quei magistrati veramente preparati. Un particolare: la sig.ra Chinnici era insegnante all'istituto Magistrale di Partanna». Rametta, che ha avuto modo di lavorare direttamente con il magistrato, ha ricordato ai nostri microfoni quell’esperienza. «Quando mi sono ritrovato a Palermo da ufficiale della Guardia di Finanza ho collaborato con Chinnici in una grossa indagine sugli elementi mafiosi di spicco di Palermo e dintorni: questo - purtroppo - ha influito nella determinazione di quei criminali ad assassinare Rocco Chinnici, gli uomini della scorta e il portiere dello stabile».
Rametta definisce così in una sola parola Chinnici: «Un magistrato eccezionale: un uomo e un magistrato eccezionale».