Con il progressivo avanzamento delle tecnologie, del Metaverso e, in ultimo, dell'Intelligenza Artificiale, la figura dell'androide è sempre più presente nel dibattito pubblico, e con essa la discussione sul rapporto tra uomano e non umano. Tra coloro che temono l'invasione robot e gli entusiasti possessori di assistenti domestici dalle fattezze umanoidi, la narrazione corrente si divide tra il terrore della macchina consapevole e la gratificazione ottenibile grazie alla sua (presunta) inconsapevolezza. Eppure c'è una domanda che stenta a esplicitarsi: che cosa dice il nostro rapporto con i robot di noi?
Il paradosso del robot
Umani ma non troppo per evitare l'effetto uncanny valley, premurosi ma non al punto da essere amorevoli, intelligentissimi ma ciononostante sottomessi; ciò che gli esseri umani chiedono ai loro corrispettivi di plastica e metallo è una sequela di contraddizioni. Generati dal paradosso, gli androidi (ma anche le interfacce IA) si ritrovano a vivere sul confine umano/non-umano: una condizione ibrida e scomoda, che li espone a tutte le possibili interpretaizoni di quello che dovrebbe essere il loro rapporto con gli esseri umani -anche perché, essendo un ambito molto recente, la legislazione in materia scarseggia. Al momento, comunque, i robot umanoidi sono cosiderati beni mobili, come tostapane e lavastoviglie (cfr. art. 812 e seguenti del Codice Civile). Ma questo non significa che le cose non cambieranno, considerando che in passato erano definiti come tali anche gli animali domestici e, ancora prima, schiavi, figli e mogli.
Kai Cenat: il divertimento della violenza
Lasciando da parte le questioni prettamente etico-sociali, è rilevante un avvenimento che ha recentemente interessato Kai Cenat. Lo streamer americano, noto per i suoi contenuti controversi, ha infatti acquistato un androide del valore di circa 70 mila dollari che ha chiamato Abdul. In una diretta insieme a due amici, Cenat ha attivato il robot (non senza un drammatico turbamento nel momento dell'accensione) e ha iniziato a interagire con lui. Sebbene il modello Aiko (Abdul) non sia in grado di parlare, le sue fattezze e i suoi movimenti sono decisamente convincenti -la sua casa madre è la Abyss Creations, la stessa che produce anche famosi androidi iperrealistici. Immediatamente Cenat e gli amici hanno accerchiato il robot, divertendosi a dargli qualche spintarella, dopo la quale Abdul vacillava all'indietro e poi tornava al centro del cerchio. Tuttavia dopo pochi secondi le spintarelle si sono trasformate in spintoni e ad esse si sono aggiunti anche i calci. Il tutto è avvenuto tra le risate dei presenti, che si divertivano a provocare anche verbalmente il robot, finché non è caduto sul pavimento, volto a terra.
Molti fan hanno espresso il proprio sgomento nei commenti sotto il video, definendo la scena "disturbante". Un utente ha scritto: "Anche se è solo un robot, c'è qualcosa di veramente oscuro e malvagio nel trattare una macchina in quel modo, abbiate un po' di rispetto e trattatelo bene"; un altro ha aggiunto "So che è una macchina ma le dinamiche di potere e controllo, non saprei, sono assurde".
Peggio peccare di antropomorfismo o di antropocentrismo?
Il problema quando si cerca di definire qualcosa di altro rispetto a sé è sempre duplice: o si rischia di assimilarlo eccessivamente a sé, proiettando in esso caratteristiche proprie ma non necessariamente sue (antropomorfismo), oppure si tende ad allontanarlo completamente dalla propria identità, considerata come unica e distante, talvolta anche superiore, da quella altrui (antropocentrismo). Un esempio dal mondo animale può essere d'aiuto: se è vero che quando i cani assumono la tipica espressione colpevole dopo aver combinato qualche guaio in realtà non possono provare il senso di colpa, è anche vero che millenni di coevoluzione con gli esseri umani ha permesso loro di sviluppare delle strategie per innescare il sentimento empatico in noi -come, ad esempio, il muscolo sopraccigliare, assente nei lupi. E se le loro emozioni, come il senso di colpa, non possono essere uguali alle nostre, questo non significa che non ne provino. Sia l'antropomorfismo che l'antropocentrismo sono modalità inefficaci di relazionarsi con l'alterità, ma è quasi inevitabile cadere almeno parzialmente in una di esse. Dovendo scegliere tra un'impostazione che rischia di diventare pura legittimazione del dominio spregiudicato sull'altro e l'ingenuità di una vicinanza fraintesa, sembra meno pericolosa la seconda.
Imparare l'umanità dalle macchine
Applicando questa riflessione al rapporto tra esseri umani e robot umanoidi, sembra che Kai Cenat abbia peccato di antropocentrismo. Abdul, in fondo, sarebbe soltanto un pezzo di latta. Eppure se fosse davvero solo un pezzo di latta, se non avesse fattezze umane (addirittura un nome!), la sua derisione non sarebbe stata altrettanto gratificante per i tre streamer e la parte di pubblico che ha apprezzato. In fondo, tirare calci a una lattina vuota non è particolarmente entusiasmante. Se la fonte del divertimento coincide con l'aspetto del robot, e quindi la sua umanità, forse il problema del comportamento di Cenat è più profondo di quanto sembri.
Per risolvere la questione del rapporto umano-robot si possono scomodare le scienze sociali e il concetto di "persona non-umana"* applicato ad alberi, animali, spiriti e fiumi, considerati entità altre ma non per questo non degni di rispetto, dignità e, in certi casi, diritti formali -il fiume Whanganui in Nuova Zelanda è stato riconosciuto come persona giuridica nel 2017**. Durante le varie ICRA (International Conference Robotics and Automation) sono state proposte diverse linee guida in cui è presente l’idea che i robot non dovrebbero essere utilizzati in modi che possano influire negativamente sul comportamento sociale degli esseri umani -incoraggiare violenza contro i robot, ad esempio, potrebbe desensibilizzare le persone alla violenza in generale.
Se la scelta da fare è tra rischiare di umanizzare un oggetto o disumanizzare un'entità altra, forse è più sicuro, più funzionale e più umano, salutare la macchinetta del caffè al mattino, come faceva la Pimpa.
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*Christopher D. Stone, "Should Trees Have Standing? Toward Legal Rights for Natural Objects" (1972)
**Te Awa Tupua (Whanganui River Claims Settlement), Act 2017