Quasi 1 giovane su 3 mette un like alle fake news sui social, ma il 70% ritiene di saper riconoscere una notizia falsa. Questo dato emerge dall’indagine Alfabetizzazione digitale & Fake News condotta da IPSOS, Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo e Parole O_Stili, dedicata alla comunicazione digitale nella popolazione sotto i vent’anni. Benché la maggior parte degli adolescenti abbia la percezione di avere la totale padronanza dei mezzi digitali, nella valutazione delle notizie —soprattutto quelle incontrate sul web— entrano in gioco dei meccanismi irrazionali, legati alla necessità umana di conferme e intrinseci al funzionamento delle piattaforme.
Algoritmi, bias di conferma e camere di risonanza
Sia i social media che i motori di ricerca, infatti, selezionano i contenuti da mostrare in base alla cronologia delle ricerche e delle interazioni dell’utente. Questo meccanismo genera un effetto che l’autore Eli Pariser ha definito “filter bubble”: una bolla di informazioni dentro la quale penetrano solo le notizie che passano attraverso un filtro, quello creato dalla piattaforma stessa in base alla sua interpretazione del “profilo” dell’utente. Dal punto di vista della fruizione, la conseguenza immediata (e fastidiosa) è che i contenuti con cui si entra in contatto sono monotoni e ripetitivi. Per quanto riguarda l’informazione, però, il problema sta nell’affidabilità delle notizie: l’algoritmo infatti privilegia quelle che più risuonano con il profilo utente, anche se non necessariamente sono attendibili.
Il vero problema è che questo sistema corrisponde perfettamente a un difetto del sistema cognitivo umano, automaticamente portato a ricercare e prediligere informazioni che confermino le opinioni preesistenti rispetto a quelle che potrebbero mandare in crisi un pensiero già formato —il cosiddetto bias di conferma.
Non solo, ma sia nella vita quotidiana che in quella online si tende a frequentare (o seguire) una cerchia di persone con cui si condividono opinioni e prospettive. Una tendenza assolutamente naturale che tuttavia, quando si tratta di informazioni, può diventare un rischio. La condivisione di opinioni da parte dello stesso gruppo sociale può infatti generare delle echo chambers, camere di risonanza in cui ci si rinforza le idee a vicenda senza necessariamente spingersi a verificarle.
Prevenire la disinformziaone con l’alfabetizzazione mediatica
Sempre secondo la ricerca, l’80% dei giovani ritiene che la scuola dovrebbe fornire strumenti per riconoscere le fake news. Una buona notizia che in questo quadro conferma l’importanza di andare oltre la sola familiarità con il mondo digitale attraverso competenze specifiche.
In questo ambito si inseriscono i laboratori scolastici di alfabetizzazione mediatica realizzati da Fondazione Media Literacy nelle scuole primarie e secondarie d’Italia da oltre un decennio. I corsi, pensati per studenti e docenti, affrontano temi come il riconoscimento delle fake news, il funzionamento degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale e la costruzione del pensiero critico in ambito digitale, promuovendo il passaggio di studenti e studentesse da utenti passivi a cittadini digitali consapevoli, capaci di orientarsi in un ecosistema informativo complesso e in continua trasformazione.
Promuovere l’alfabetizzazione mediatica, infatti, non significa solo contrastare la disinformazione, ma anche rafforzare la democrazia, la partecipazione e la libertà di pensiero. Un investimento culturale che parte dai banchi di scuola e che riguarda il futuro di tutti.