La Francia approva le nozze gay: è il 14° Paese. E l'Italia è ancora indietro
Emigranti per amore
Se per vivere la propria storia bisogna fuggire
Oceanomare | 24 aprile 2013
Cara redazione,
con questa lettera voglio raccontarvi un?altra storia di emigrazione, diversa sì, ma drammaticamente uguale a molte altre. La giornata di ieri la attendevo inconsciamente da tanto tempo.Il giorno in cui il Paese in cui vivo e pago le tasse, finalmente riconosce anche alla mia famiglia il diritto di esistere.
Quando sono venuta al mondo, ventiquattro anni fa, non ero infatti cosciente di appartenere ad una minoranza che sarebbe stata a lungo oggetto di violenze e discriminazioni.
Io, figlia di genitori che avevano fatto il ?68, mi sono ritrovata a vivere in una realtà non diversa da quella che loro avevano contesto in gioventù, moralista ed ipocrita come solo chi si proclama liberale e democratico può essere.
Avevo diciott?anni quando ho conosciuto il mio primo amore, neanche diciannove quando me l?hanno strappato via a seguito di una violenta caccia alle streghe in cui la famiglia di lei ed anche la mia, quella dei sessantottini di sinistra, appunto, si sono accorte d?essere macchiate da una vergogna insostenibile: una figlia omosessuale.
L?anno che ne seguì fu l?ultimo, per me, in Italia.
Provai sulla mia pelle il dolore straziante della morte apparente del mio primo amore. Apparente sì, perchè entrambe continuavamo a vivere lontano dagli occhi l?una dell?altra in una sorta di limbo nel quale eravamo piombate per caso, una mattina, mentre studiavamo assieme nella cucina di casa mia. La mattina in cui sua madre la venne a prendere e la portò via per sempre, mentre io la salutavo con un bacio sulla guancia e l?aspettavo per tutto il pomeriggio per il gelato delle quattro e mezza.
Le diedi il mio addio ogni sera, prima di coricarmi, ed ogni mattina, quando la mente intorpidita abbandonava le proiezioni dell?inconscio in cui lei era ancora lì con me.
Passarono quattro, otto, dieci mesi, d?innaturale in tutta quella storia c?era solo il dolore, ma nessuno lo capì. La vita mi divenne insostenibile e Roma, la città che mi aveva cullato per vent?anni era diventata la mia carnefice. Feci richiesta per una borsa Erasmus in una prestigiosa università parigina con la scusa concreta che in Italia, con la mia formazione umanistica, sarei andata a raggiungere le file di tutti quegli eccellenti precari che andavano moltiplicandosi di giorno in giorno. La vinsi ed a settembre dell?anno successivo partii.
Conoscevo poco e niente dei costumi francesi in materia di diritti omosessuali, ma ricordo la porta dell?appartamento al piano di sotto al mio, sulla quale un cartello recitava a grandi lettere ?Just Pacsed!?.
Ci vollero mesi prima che ammettessi agli altri e a me stessa quanto era accaduto l?anno precedente. Non mi fidavo delle persone attorno a me, nonostante non avessi più nulla da perdere. Sono loro, molti italiani e qualche straniero trapiantati nella capitale francese, che oggi alla fine devo ringraziare.
Ricordo le lacrime ed il tremore delle mie mani quando per la prima volta mi confessai davanti ad una di loro e ricordo la sua risata incredula quando mi rispose ?Tutto qui? Sei solo gay??.
Non riuscivo neanche a pronunciarla, quella parola, tre lettere in cui temevo si nascondesse una condanna e non la natura della mia persona, del mio amore.
Ricordo il mio primo gay pride: il cielo parigino che si schiudeva sopra una festa di colori e musica.
D?allora sono passati tre anni: in Italia non sono più tornata e non solamente perché la mia laurea non avrebbe valore ma, soprattutto, perché una parte di me, una parte importante di me, lì non ha ancora diritto di esistere.
Con S., la mia attuale compagna, conosciuta qualche settimana prima di quel famoso gay pride, dividiamo un bell?appartamento ed un conto in banca. Insieme abbiamo marciato sotto la pioggia, appeso manifesti, distribuito volantini alle stazioni della metro nel freddo pungente dell?inverno parigino perché un governo, quello di François Hollande, ci ha promesso una famiglia.
Una promessa divenuta realtà ieri:23 aprile 2013.
Non è stato facile e non lo sarà: la Francia dei valori democratici di Liberté, egalité, fraternité ha svelato un ascesso profondamente reazionario, ma le istituzioni sono dalla nostra parte e la storia cammina a passo spedito. L?Italia, intanto, rimane forse l?ultimo dei paesi europei a non aver adottato neanche una legge che tuteli i suoi cittadini dalle violenze causate da quel cancro che è l?omofobia.
Una democrazia malata in cui i più ?aperti? affermano che in tempi di crisi ?le unioni omosessuali non sono una priorità?. Ma i diritti umani, cari signori, sono sempre una priorità.
È per questo motivo che oggi vi scrivo raccontando la mia storia, perchè qualcosa si smuova nelle coscienze intorpidite del fu bel Paese. Perché, se la vita si costruisce sul lavoro e sull?amore, non riesco ad immaginare nulla di peggio di un paese che li neghi entrambi.
Con tanta nostalgia di casa,
Oceanomare
con questa lettera voglio raccontarvi un?altra storia di emigrazione, diversa sì, ma drammaticamente uguale a molte altre. La giornata di ieri la attendevo inconsciamente da tanto tempo.Il giorno in cui il Paese in cui vivo e pago le tasse, finalmente riconosce anche alla mia famiglia il diritto di esistere.
Quando sono venuta al mondo, ventiquattro anni fa, non ero infatti cosciente di appartenere ad una minoranza che sarebbe stata a lungo oggetto di violenze e discriminazioni.
Io, figlia di genitori che avevano fatto il ?68, mi sono ritrovata a vivere in una realtà non diversa da quella che loro avevano contesto in gioventù, moralista ed ipocrita come solo chi si proclama liberale e democratico può essere.
Avevo diciott?anni quando ho conosciuto il mio primo amore, neanche diciannove quando me l?hanno strappato via a seguito di una violenta caccia alle streghe in cui la famiglia di lei ed anche la mia, quella dei sessantottini di sinistra, appunto, si sono accorte d?essere macchiate da una vergogna insostenibile: una figlia omosessuale.
L?anno che ne seguì fu l?ultimo, per me, in Italia.
Provai sulla mia pelle il dolore straziante della morte apparente del mio primo amore. Apparente sì, perchè entrambe continuavamo a vivere lontano dagli occhi l?una dell?altra in una sorta di limbo nel quale eravamo piombate per caso, una mattina, mentre studiavamo assieme nella cucina di casa mia. La mattina in cui sua madre la venne a prendere e la portò via per sempre, mentre io la salutavo con un bacio sulla guancia e l?aspettavo per tutto il pomeriggio per il gelato delle quattro e mezza.
Le diedi il mio addio ogni sera, prima di coricarmi, ed ogni mattina, quando la mente intorpidita abbandonava le proiezioni dell?inconscio in cui lei era ancora lì con me.
Passarono quattro, otto, dieci mesi, d?innaturale in tutta quella storia c?era solo il dolore, ma nessuno lo capì. La vita mi divenne insostenibile e Roma, la città che mi aveva cullato per vent?anni era diventata la mia carnefice. Feci richiesta per una borsa Erasmus in una prestigiosa università parigina con la scusa concreta che in Italia, con la mia formazione umanistica, sarei andata a raggiungere le file di tutti quegli eccellenti precari che andavano moltiplicandosi di giorno in giorno. La vinsi ed a settembre dell?anno successivo partii.
Conoscevo poco e niente dei costumi francesi in materia di diritti omosessuali, ma ricordo la porta dell?appartamento al piano di sotto al mio, sulla quale un cartello recitava a grandi lettere ?Just Pacsed!?.
Ci vollero mesi prima che ammettessi agli altri e a me stessa quanto era accaduto l?anno precedente. Non mi fidavo delle persone attorno a me, nonostante non avessi più nulla da perdere. Sono loro, molti italiani e qualche straniero trapiantati nella capitale francese, che oggi alla fine devo ringraziare.
Ricordo le lacrime ed il tremore delle mie mani quando per la prima volta mi confessai davanti ad una di loro e ricordo la sua risata incredula quando mi rispose ?Tutto qui? Sei solo gay??.
Non riuscivo neanche a pronunciarla, quella parola, tre lettere in cui temevo si nascondesse una condanna e non la natura della mia persona, del mio amore.
Ricordo il mio primo gay pride: il cielo parigino che si schiudeva sopra una festa di colori e musica.
D?allora sono passati tre anni: in Italia non sono più tornata e non solamente perché la mia laurea non avrebbe valore ma, soprattutto, perché una parte di me, una parte importante di me, lì non ha ancora diritto di esistere.
Con S., la mia attuale compagna, conosciuta qualche settimana prima di quel famoso gay pride, dividiamo un bell?appartamento ed un conto in banca. Insieme abbiamo marciato sotto la pioggia, appeso manifesti, distribuito volantini alle stazioni della metro nel freddo pungente dell?inverno parigino perché un governo, quello di François Hollande, ci ha promesso una famiglia.
Una promessa divenuta realtà ieri:23 aprile 2013.
Non è stato facile e non lo sarà: la Francia dei valori democratici di Liberté, egalité, fraternité ha svelato un ascesso profondamente reazionario, ma le istituzioni sono dalla nostra parte e la storia cammina a passo spedito. L?Italia, intanto, rimane forse l?ultimo dei paesi europei a non aver adottato neanche una legge che tuteli i suoi cittadini dalle violenze causate da quel cancro che è l?omofobia.
Una democrazia malata in cui i più ?aperti? affermano che in tempi di crisi ?le unioni omosessuali non sono una priorità?. Ma i diritti umani, cari signori, sono sempre una priorità.
È per questo motivo che oggi vi scrivo raccontando la mia storia, perchè qualcosa si smuova nelle coscienze intorpidite del fu bel Paese. Perché, se la vita si costruisce sul lavoro e sull?amore, non riesco ad immaginare nulla di peggio di un paese che li neghi entrambi.
Con tanta nostalgia di casa,
Oceanomare
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