Attualità
Social way of life
Posto ergo sum
I social network entrano a gamba tesa nelle nostre vite, tanto che molti di noi ritengono sempre più normale condividere ogni istante della propria quotidianità con gli amici, i followers e gli altri utenti della rete. Ecco le facce da “oversharing”
Luca Pizzimenti | 13 novembre 2013
È la piaga del terzo millennio, colpisce indipendentemente da età e sesso e provoca disagio anche a quelli che non ne sono affetti. Signore e signori, vi presento l’oversharing, il cancro dell’era social. Per oversharing si intende il disturbo ossessivo-compulsivo che provoca un’irrefrenabile voglia di pubblicare sui social network (soprattutto Facebook) qualsiasi cosa passi per la testa e per il monitor del pc.

Italiani sul podio della condivisione
L’oversharing sta diventando un fenomeno piuttosto rilevante, a tal punto che le grandi aziende stanno conducendo indagini di mercato per capire quali siano i Paesi che fotografano (e condividono) di più tramite il proprio smartphone. Ebbene, i dati sono tutt’altro che consolanti, specialmente per noi italiani: da una ricerca OnePoll, commissionata da Samsung, risulta infatti che in Europa gli abitanti del Bel Paese sono secondi solo alla Spagna per volume di condivisioni fotografiche sui social network. Addirittura è emerso che ogni minuto vengono scattate e caricate 3572 foto solo in Italia! Facendo un rapido calcolo, insomma, si può dire che ogni giorno pubblichiamo in media circa 5 milioni di foto sui social. Dati da capogiro, soprattutto se si considera che sono destinati ad aumentare vertiginosamente: il mercato infatti si sta rapidamente adattando alla nuova tendenza, pensiamo ad esempio alle macchine fotografiche che integrano le opzioni di condivisione online delle foto. In questo modo sarà possibile pubblicare i propri scatti praticamente ad ogni respiro.

Fenomenologia del facebookiano medio
Ma come ci si “ammala” di oversharing? Per rendere la spiegazione più semplice e comprensibile prenderò a modello Facebook, più conosciuto e soprattutto miglior luogo di osservazione del fenomeno. La patologia il più delle volte inizia a presentarsi al momento della registrazione, in forma più o meno grave. La voglia di comunicare agli altri le azioni compiute nel corso della giornata cresce vertiginosamente, fino ad arrivare al primo ma già perverso status: “Oggi giornata tranquilla e poi stasera serata easy con la cumpa”. Da lì in poi la situazione precipita, il soggetto inizia ad apprendere le funzioni base di Facebook e non ce n’è più per nessuno. I post continuano ad aumentare proporzionalmente all’inutilità degli stessi, fino ad intasare la home degli amici virtuali con aggiornamenti di stato, foto e video di cui nessuno sentiva il bisogno come “Boh…”, “Mi sto sedendo sul gabinetto”, “Sto tirando lo sciacquone”, geotag ai giardinetti sotto casa, foto di ogni oggetto presente nella propria abitazione e collezione di autoscatti che farebbe invidia ad un ufficio anagrafe. Fattori che aggravano la malattia sono applicazioni come Retrica e Instagram, app di photosharing che non hanno bisogno di spiegazioni, siti web come Ask.fm – non entrate mai nel loop del botta e risposta – o quei dannatissimi giochini online stile Farmville, quelli in cui devi condividere quanto grano hai piantato o quante ciliegie hai raccolto. L’unica possibilità per uscire dal tunnel, a questo punto, è l’eliminazione del proprio account seguita da un trapianto di cervello.

Non ho l’età
Ma la fenomenologia è uguale per tutti? La risposta è no. Se il soggetto in considerazione è sui 40-50 anni, periodo in cui notoriamente la degenerazione cerebrale è già in corso (se non vi fidate cercate su internet), la situazione è ancora più drammatica. Si ha una vera e propria regressione all’infanzia, caratterizzata dalla feticistica ricerca di un manipolo di poveri malcapitati con cui condividere la mania dell’oversharing. Ed ecco così moltiplicarsi bacheche zeppe di foto di gattini, immagini raffiguranti il proprio nome riproposto con migliaia di cornicette e font diversi, per non parlare dei link a siti del calibro di socialdonnagossip.com o cuccioli.it, che svelano incredibili retroscena su importanti questioni come il matrimonio di Belen. A questo procedimento di condivisione virale segue una fase di inclusione, che coinvolge il sopraccitato manipolo: in questo modo, quelle che un tempo erano vittime diventano, quasi senza accorgersene, carnefici, partecipando alla spasmodica ricerca del cucciolo più patetico (ma per loro tenero) presente sulla rete. Insomma, se anche all’inizio vedete con sospetto i condivisori compulsivi, sappiate che il contagio è dietro l’angolo.

Per un pugno di “mi piace”
Ma non è finita. Esistono anche gli oversharers egocentrici, forse i più insopportabili. Normalmente vanno dai 14 ai 25 anni. Condividono principalmente la loro immagine del profilo, che cambiano dalle dieci alle dodici volte al giorno, sperando di ottenere quanti più like possibile - “Cavolo, se ho 200 mi piace sulla mia foto profilo sono proprio un grande” è la loro considerazione tipo. Per non parlare delle loro risposte alle domande di Ask.fm, puntualmente condivise su Fb e fonte di grandi riflessioni filosofiche, del tipo “Stasera Covo o Albikokka? A me basta sbroffare”. La supercazzola è ormai un miraggio.

L’amore ai tempi dei post
E infine, meritano di chiudere questa sgangherata galleria tutti coloro che tentano di rendere gli amici virtuali partecipi della propria vita sentimentale. Per quanto possano fare tenerezza ai primi post, dopo qualche giorno iniziano ad ispirare violenza, complice la mancanza di originalità e l’utilizzo di 5 parole chiave ripetute in tutte le salse: love, triste, mimanchi, cuore, bacio. Nella maggior parte dei casi sono le donne a rimanere vittime di questa infida deviazione dell’oversharing. Probabilmente non se ne esce neanche quando la propria vita sentimentale si sistema, dato che il lamentarsi dà appagamento e l’appagamento provoca dipendenza.
Ma, alla fine, una domanda rimane: se passiamo tutta la giornata a compiere azioni con il solo fine di condividerle, quando viviamo la vita, quella vera?
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