Quando si riferisce alla nostra generazione, nel libro lei non parla di giusto o sbagliato, ma piuttosto di evoluzione: dove stiamo andando?
L’importante è che lo sappia chi ha meno di trent’anni, dove stiamo andando. Io ci sono già stato, nel posto dove “stavamo andando”... Quello dei ragazzi sarà sicuramente un andare differente in un posto differente. Cambiare destinazione è il loro diritto, ed è la forza della gioventù.
Perché spesso voi adulti pensate che dietro i nostri silenzi ci sia necessariamente un dissenso?
Perché il silenzio dei figli fa paura ai genitori, lo vivono come una perdita di confidenza, forse anche come una perdita di potere. Quando avrete potere anche voi ragazzi (prima o poi vi toccherà) capirete quanto rende vulnerabili: perché rende responsabili, e le responsabilità pesano.
Dia un consiglio a noi figli per aiutare i nostri genitori…
Sono solo uno scrittore, non un pedagogista, non uno psicanalista. Molti articoli sul mio libro mi hanno fatto sorridere perché lo trattano come una specie di saggio sull’epoca, mentre è “solo” un racconto. Breve, frammentario, arbitrario, fragile. Ne consegue che non ho consigli da dare. Solo stati d’animo da raccontare. L’unico consiglio che, come padre, mi sento di dare sia ai genitori che ai figli è aspettare che il tempo passi, e nel frattempo non dimenticare – qualunque sia lo stato delle cose – che è un rapporto di amore.
Essere genitori non deve essere facile, ce ne rendiamo conto anche noi: ma quali sono per la sua esperienza gli errori da evitare?
Da un lato l’assenza; dall’altro, e soprattutto, l’eccessiva presenza. Non si può incombere sulla vita dei figli come se dal suo esito dipendesse anche l’esito della nostra. Primo perché non è vero. Secondo perché li carichiamo di ansie e di aspettative che rischiano di schiacciarli.
Rispetto ai suoi genitori lei si sente - come genitore - in una condizione migliore o peggiore?
Peggiore, e per una sola ragione: loro avevano a disposizione un sistema di valori ancora quasi intatto, cercare di trasmetterlo era istintivo, non dovevano neanche pensarci troppo. Noi no. Il padre del mio libro si definisce “relativista etico”, e non perché se ne vanti, ma perché sa di esercitare la sua dubbia autorità in un’epoca che non è autoritaria, è confusa, nebbiosa...
Se pensa alla parola “padre”, quale immagine le viene in mente in compagnia dei suoi figli?
Ora che sono grandi, certe cene condivise, in posti che amiamo, dove si riesce a chiacchierare come adulti. Quando erano piccoli e molto piccoli, l’accudimento. E il gioco in mezzo alla natura, dove sono cresciuti e dove ho trascorso buona parte della mia vita.
La nostra è la generazione dei nativi digitali: la contemporaneità di certe nostre azioni è ben descritta nel suo libro quando prova a raccontare cosa accade nel cervello di suo figlio tra social network, musica, film e una pagina di chimica. La sua reazione è di stupore, ma non crede che invece molti altri genitori tentino di riprodurre questo essere “multitasking”, provando ad emulare i propri figli?
Non sono su Twitter né su Facebook, mi sento del tutto estraneo, per formazione culturale e per abitudini sociali, al mondo dei social network. Non so se altri genitori siano così insinceri da simulare abitudini giovanili per sembrare giovani. Io non lo sono più e non mi sento tale. Spero che i miei coetanei, quando navigano in quel mondo, lo facciano con parole loro, non con le parole dei figli. L’imitazione dei ragazzi, quando si passano i quaranta, diventa una specie di pedofilia involontaria.
Eppure questo accade spesso, anche nel modo di vestire. A questo proposito, nel libro viene descritta una catena di abbigliamento di grande moda fra i giovani: cosa cambia dai tempi della Levi’s a quelli di “Poompy e doompy”?
C’è un’accentuazione patologica del narcisismo. Degli adulti, così come dei ragazzi. Ogni felpa, ogni maglietta, ogni accessorio, oggi hanno un peso crescente nella formazione dell’identità: come se ci si specchiasse continuamente, ogni secondo, come se ognuno di noi fosse diventato il Grande Fratello di se stesso. Bisognerebbe perdersi di vista, almeno per qualche minuto al giorno.... Dimenticare di essere “io”, e osservare il mondo.
Nel libro racconta che quando deve prendere decisioni su suo figlio interpella il “Parlamento della sua mente”: decide sempre a voto palese?
Occulto, occultissimo. Su molte delle mie decisioni e indecisioni non ho alcun controllo politico....
I contestatori, i paninari, gli sdraiati: dove ci porterà questa climax discendente?
Non è detto che sia discendente. La cosa importante è che ogni ragazzo, in qualunque epoca cresca, abbia la capacità di formarsi un’identità il più autonoma possibile dalle mode. Da questo punto di vista credo che il giornalismo non aiuti quando disegna definizioni di comodo per una intera generazione. Ognuno di noi appartiene solo a se stesso. Spero che Gli sdraiati rimanga il titolo di un libro, e basta. Anche perché è esattamente questo: un libro, e basta.
Padri e figli di oggi
Sdraiati, ma non troppo
La fotografia di una generazione, la nostra, attraverso l’ironia di Michele Serra, che nel suo ultimo libro prova a tratteggiarne le caratteristiche. Senza pretese da pedagogista, con gli occhi di un padre
Redazione | 10 dicembre 2013
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