Europee: the day after
Sicuri che ha vinto la sinistra?
All’Europarlamento i progressisti sono in minoranza. E in Italia il PD pende sempre più al centro
Fabio Canessa | 28 maggio 2014
Forse a qualcuno è sfuggito, ma in Europa hanno vinto i moderati. Di nuovo, stavolta con meno seggi di vantaggio. Mentre il bel paese è invaso da mappe elettorali rosseggianti, Bruxelles e Strasburgo (sempre che resista la doppia sede) vedranno più destra che sinistra nell’aula del Parlamento europeo. Non solo per il 30% dei popolari, di per sé non esaltante. Tra le forze conservatrici, e in buona parte euroscettiche, ci sono anche i riformisti old style dell’ECR, i liberali (e liberisti) duri e puri dell’ALDE, i nazionalisti di Libertà e Democrazia. E, ovviamente, le destre estreme in rapida ascesa. No, di vittoria delle sinistre non si può parlare. Forse nemmeno in Italia.
Sarà per gli ottanta euro in busta paga o per l’irriverente gioventù condita di acume fiorentino, fatto sta che Renzi ha fatto un gran bene al PD. Passerà alla storia non solo il suo 41%, una percentuale mai vista negli ultimi tempi, ma anche questa Italia così politicamente omogenea. Il centrosinistra vince quasi ovunque, conquistando anche le roccaforti geografiche avversarie da sempre. Un trionfo celebrato anche alle amministrative. Eppure quel rosso sulle cartine stona. Va bene la tradizione di associarlo ai progressisti, in effetti un po’ anacronistica, ma stavolta proprio non ci sta. Oltre alle larghe intese, alle correnti di partito e al trasformismo nostrano c’è di più. Forza Italia sbiadisce giorno dopo giorno insieme al suo leader, l’unico a crederci ancora tra un pannolone e l’altro. Il fuoriuscito Alfano si sforza (invano) di prenderne il posto, finché può contare su qualche pedina a palazzo Chigi. Morale della favola? Migliaia di voti incassati dal sindaco di Firenze, che ha saputo conquistare i liberali meno intransigenti, i piccoli imprenditori, buona parte dei cattolici. Insomma, almeno un terzo dell’elettorato berlusconiano dei tempi d’oro. Difficile affermare che sia stato un partito di centrosinistra a vincere.
Il vero flop è quello a cinque stelle. La battaglia degli hashtag non ha dato buoni frutti, meglio rivedere la linea di comunicazione. E anche dare qualche dritta all’elettorato, che tra video in cabina elettorale, pennarelli e difficoltà nell’interpretare le percentuali si dimostra piuttosto immaturo. Eppure una lancia in favore di Grillo bisogna spezzarla. Un ribasso di quattro punti in un anno, per un partito giovane, non è nemmeno così grave. Poi tanti euroscettici saranno rimasti a casa, al massimo al mare, mostrando tra l’altro una certa coerenza. E sapendo che i pentastellati, elettori di protesta, sono potenziali astensionisti, il calo non dovrebbe stupire. Secondo IPR, invece, il Movimento è vincitore assoluto tra i giovani. Sotto i 29 anni, infatti, ben il 45% ha votato a cinque stelle, solo il 33% ha premiato il PD di Renzi. Segno che il premier è un giovanotto che piace agli adulti, ma non convince le nuove generazioni, che forse hanno bisogno di garanzie più che di rottamatori. Interpretato in chiave europea, non è un dato da poco. Significa, come già insinuato da qualcuno in campagna elettorale, che i giovani non sono così europeisti come ci si aspetterebbe. L’Europa non piace così com’è e i progressisti, ormai parte di un nuovo polo-ammucchiata pieno di connivenze e compromessi, non hanno saputo interpretare le esigenze di cambiamento di chi in Europa dovrà viverci domani.
Dire che l’attuale centrodestra italiano sia targato PD è un bell’azzardo. Ma neanche troppo. Vero è che Forza Italia e NCD (più UDC e PPI) messi insieme hanno fatto lo stesso bottino del PDL alle politiche del 2012. Il refrain quasi nazionalista di Berlusconi non si è rivelato vincente, ma il 16% abbondante appare addirittura un piccolo miracolo, visto il terremoto Expo che ha ribaltato il partito. In tutti i casi, meno peggio della Meloni band: col 3,6% i “Fratelli d’Italia” restano in patria. Passa in sordina l’altra amara sconfitta, quella di “Scelta Europea con Verhofstadt”, la lista affiliata all’ALDE che ha raccolto qualche liberale dell’ultima ora tra cui i residui montiani di Scelta Civica, il redivivo Musso e una manciata di associazioni extrapartitiche. Percepiti forse troppo vicini all’Europa delle banche e dell’austerity o semplicemente ignoti al grande pubblico, non vanno oltre uno sterile 0,7%. Insomma, renziani a parte, moderati non pervenuti. Arrivederci alla prossima era politica. La Lega torna con un caratteristico slogan anti moneta unica e recupera qualche consenso. Anche se i successi non sono più quelli di una volta, Salvini canta vittoria e gongola dei cinque seggi che occuperà coi suoi. Sull’altro lato, brindano a denti stretti i seguaci di Tsipras, che con “L’altra Europa” entrano di straforo al 4,03% e ambiscono a colmare il vuoto lasciato nella sinistra più rossa. Il leader di SYRIZA stravince nella sua Grecia e conquista, come candidato alla presidenza della Commissione, un modesto ma incoraggiante 5,6% dei seggi. Neanche i grandi nomi della stampa, come Maltese e la Sgrena, hanno spinto in alto una campagna sotto le righe, offuscata dal derby Renzi-Grillo. La chiamavano “lista Tsipras” anche se, paradossalmente, non è mai stato ufficializzato il legame con l’eurogruppo della Sinistra Unitaria, per via di resistenze nate tra gli esponenti SEL.
Cade l'affluenza, intorno al 57% dopo il 65% del 2009. Numeri che confermano il tradizionale declassamento a elezioni “di secondo ordine”. Vuoi perché, come al solito, lo scontro è stato presentato come test politico nazionale, o magari perché la recessione e la crisi dell’euro hanno diffuso grandi dubbi sull’Europa unita, l’astensionismo è quello di sempre. Un'evidenza su tutte emerge da questa tornata elettorale: una sempre più marcata tendenza al personalismo e al leaderismo. Uno stretto vincolo identitario lega le formazioni politiche ai loro uomini chiave. La sfida non si gioca tra partiti, ma tra star. Se poi ci si mette pure la confusione mediatica, si capisce come mai mia nonna credeva che al Parlamento europeo andasse Renzi in persona…
Sarà per gli ottanta euro in busta paga o per l’irriverente gioventù condita di acume fiorentino, fatto sta che Renzi ha fatto un gran bene al PD. Passerà alla storia non solo il suo 41%, una percentuale mai vista negli ultimi tempi, ma anche questa Italia così politicamente omogenea. Il centrosinistra vince quasi ovunque, conquistando anche le roccaforti geografiche avversarie da sempre. Un trionfo celebrato anche alle amministrative. Eppure quel rosso sulle cartine stona. Va bene la tradizione di associarlo ai progressisti, in effetti un po’ anacronistica, ma stavolta proprio non ci sta. Oltre alle larghe intese, alle correnti di partito e al trasformismo nostrano c’è di più. Forza Italia sbiadisce giorno dopo giorno insieme al suo leader, l’unico a crederci ancora tra un pannolone e l’altro. Il fuoriuscito Alfano si sforza (invano) di prenderne il posto, finché può contare su qualche pedina a palazzo Chigi. Morale della favola? Migliaia di voti incassati dal sindaco di Firenze, che ha saputo conquistare i liberali meno intransigenti, i piccoli imprenditori, buona parte dei cattolici. Insomma, almeno un terzo dell’elettorato berlusconiano dei tempi d’oro. Difficile affermare che sia stato un partito di centrosinistra a vincere.
Il vero flop è quello a cinque stelle. La battaglia degli hashtag non ha dato buoni frutti, meglio rivedere la linea di comunicazione. E anche dare qualche dritta all’elettorato, che tra video in cabina elettorale, pennarelli e difficoltà nell’interpretare le percentuali si dimostra piuttosto immaturo. Eppure una lancia in favore di Grillo bisogna spezzarla. Un ribasso di quattro punti in un anno, per un partito giovane, non è nemmeno così grave. Poi tanti euroscettici saranno rimasti a casa, al massimo al mare, mostrando tra l’altro una certa coerenza. E sapendo che i pentastellati, elettori di protesta, sono potenziali astensionisti, il calo non dovrebbe stupire. Secondo IPR, invece, il Movimento è vincitore assoluto tra i giovani. Sotto i 29 anni, infatti, ben il 45% ha votato a cinque stelle, solo il 33% ha premiato il PD di Renzi. Segno che il premier è un giovanotto che piace agli adulti, ma non convince le nuove generazioni, che forse hanno bisogno di garanzie più che di rottamatori. Interpretato in chiave europea, non è un dato da poco. Significa, come già insinuato da qualcuno in campagna elettorale, che i giovani non sono così europeisti come ci si aspetterebbe. L’Europa non piace così com’è e i progressisti, ormai parte di un nuovo polo-ammucchiata pieno di connivenze e compromessi, non hanno saputo interpretare le esigenze di cambiamento di chi in Europa dovrà viverci domani.
Dire che l’attuale centrodestra italiano sia targato PD è un bell’azzardo. Ma neanche troppo. Vero è che Forza Italia e NCD (più UDC e PPI) messi insieme hanno fatto lo stesso bottino del PDL alle politiche del 2012. Il refrain quasi nazionalista di Berlusconi non si è rivelato vincente, ma il 16% abbondante appare addirittura un piccolo miracolo, visto il terremoto Expo che ha ribaltato il partito. In tutti i casi, meno peggio della Meloni band: col 3,6% i “Fratelli d’Italia” restano in patria. Passa in sordina l’altra amara sconfitta, quella di “Scelta Europea con Verhofstadt”, la lista affiliata all’ALDE che ha raccolto qualche liberale dell’ultima ora tra cui i residui montiani di Scelta Civica, il redivivo Musso e una manciata di associazioni extrapartitiche. Percepiti forse troppo vicini all’Europa delle banche e dell’austerity o semplicemente ignoti al grande pubblico, non vanno oltre uno sterile 0,7%. Insomma, renziani a parte, moderati non pervenuti. Arrivederci alla prossima era politica. La Lega torna con un caratteristico slogan anti moneta unica e recupera qualche consenso. Anche se i successi non sono più quelli di una volta, Salvini canta vittoria e gongola dei cinque seggi che occuperà coi suoi. Sull’altro lato, brindano a denti stretti i seguaci di Tsipras, che con “L’altra Europa” entrano di straforo al 4,03% e ambiscono a colmare il vuoto lasciato nella sinistra più rossa. Il leader di SYRIZA stravince nella sua Grecia e conquista, come candidato alla presidenza della Commissione, un modesto ma incoraggiante 5,6% dei seggi. Neanche i grandi nomi della stampa, come Maltese e la Sgrena, hanno spinto in alto una campagna sotto le righe, offuscata dal derby Renzi-Grillo. La chiamavano “lista Tsipras” anche se, paradossalmente, non è mai stato ufficializzato il legame con l’eurogruppo della Sinistra Unitaria, per via di resistenze nate tra gli esponenti SEL.
Cade l'affluenza, intorno al 57% dopo il 65% del 2009. Numeri che confermano il tradizionale declassamento a elezioni “di secondo ordine”. Vuoi perché, come al solito, lo scontro è stato presentato come test politico nazionale, o magari perché la recessione e la crisi dell’euro hanno diffuso grandi dubbi sull’Europa unita, l’astensionismo è quello di sempre. Un'evidenza su tutte emerge da questa tornata elettorale: una sempre più marcata tendenza al personalismo e al leaderismo. Uno stretto vincolo identitario lega le formazioni politiche ai loro uomini chiave. La sfida non si gioca tra partiti, ma tra star. Se poi ci si mette pure la confusione mediatica, si capisce come mai mia nonna credeva che al Parlamento europeo andasse Renzi in persona…
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Europee 2014, Parlamento europeo, elezioni, Partito democratico, Renzi, PSE, PPE, Junker, Schulz, Lega Nord, Forza Italia, NCD, L'altra Europa con Tsipras, Tsipras, Alfano, Berlusconi, Renzi, Grillo, MoVimento 5 stelle
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