Attualità
L'opinione
La buona scuola e la lezione americana
L'influenza americana arriva nelle scuole
Arnold Koka | 29 ottobre 2015

L’Italia si muove solo quando c’è da restare fermi, ma al momento di cambiare, di suggerire e di proporre, sono pochi quelli che parlano concretamente, tanti quelli si nascondono o tacciono. Il bisogno di rifiuto e di protestare contro tutto e tutti, ormai diventato epidemico nei giovani e naturale nei sindacati, arriva a rigettare addirittura le assunzioni dei precari, gli stessi che per anni hanno occupato piazze e strade per avere il lavoro che adesso gli viene offerto. È vero che i problemi logistici ci sono per chi deve trasferirsi dal Sud al Nord, ma ha detto bene il sottosegretario Davide Faraone in un suo post su Facebook: “Cosa avremmo dovuto fare? Spostare gli alunni e le loro famiglie dal Nord al Sud?”.

La retorica del “tutto e subito” è ormai superata, e se le utopie aiutano a sopravvivere, il realismo serve a comprendere la complessità del mondo. È una lezione americana, che in pochi in Italia hanno colto e ancora in meno hanno sfruttato. Bisogna saper dire di sì e Obama ha basato la sua intera carriera politica sulla positività e un semplice slogan, ma ancora prima di lui un profeta italiano lo aveva detto, anche se lontanissimo da qualsiasi tipo di retorica americana.

Lo scrisse sull’Avanti nel 1961 Pier Paolo Pasolini, sotto forma di lettera, che pur essendo poeta e sognatore, la realtà del mondo l’aveva capita, e così scriveva: “Se non possiamo realizzare tutto, non sarà giusto accontentarsi a realizzare poco? La lotta senza vittoria inaridisce.” Non possiamo sempre e solo dire di no. Alle riforme, alla politica, ai cambiamenti. La lezione americana probabilmente non fa per noi. Ma quella di Pasolini?

 

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