Il Rapporto sulla situazione sociale del Paese rappresenta un’occasione unica per acquisire letture preziose di quel che avviene, di anno in anno, nell’Italia della crisi che il Censis fotografa e radiografa ormai da mezzo secolo. Siamo un Paese che presta poca attenzione alla ricerca e, invece, ai “decision maker” e a noi semplici cittadini, questi dati dovrebbero raccontare e suggerire molto.
Veniamo ai contenuti di questa indagine e alle sorprese e contraddizioni che emergono.
Secondo il 50esimo rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese c’è pochissimo da stare allegri: l’Italia vive una “prolungata e infeconda sospensione, dove le manovre pensate in affannata successione non hanno portato i risultati attesi”. Per questo è nata una “seconda era del sommerso” che punta alla “ricerca di più redditi come arma di pura difesa”. Il rapporto poi registra “il Ko economico dei millennials”, che hanno un reddito del 15% inferiore alla media, ed evidenzia che per la prima volta i figli saranno più poveri dei genitori. Un dato che ci riguarda: mai è stata così intensa la percezione dei giovani di un avvitamento verso il basso e la voglia di fuggire altrove. È uno degli esiti del blocco della mobilità sociale se oltre il 55% per cento degli italiani pensa che i propri figli vivranno peggio. E non è soltanto una questione di reddito: il 41% dei giovani tra i 15 e i 34 anni è occupata perché svolge compiti operativi e manuali: in un settore come quello della ristorazione, ad esempio, il 61% svolge ruoli meramente esecutivi contro il 13,7% dei 35enni. Persino al tempo dell’economia digitale, che nel resto del mondo è il regno incontrastato dei giovani, gli italiani sono imprigionati ai margini e collocati in basso, più schiavi dell’algoritmo che beneficiari di un’autonomia reale.
Ma il problema forse più serio per la nostra società è la divaricazione tra il “potere politico” ed il “corpo sociale”, impegnati entrambi in “reciproci processi di rancorosa delegittimazione”; e le istituzioni, che dovrebbero fare da “cerniera” tra i due poli, sono in una “profondissima crisi”.
LA SFIDUCIA NELLA POLITICA
A che serve l’autocoscienza se domani cambia tutto? Questo chiede il sociologo Giuseppe De Rita che da cinquant’anni lavora attivamente alla redazione del rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese del Censis. La “cerniera” tra popolo e élite si è rotta, ma di che élite stiamo parlando? Domanda retoricamente De Rita presentando la situazione politica italiana.
Quella che emerge, sottolinea, è la crisi delle istituzioni, una divaricazione tra potere e corpo sociale, due mondi che vivono di per sé, che non si riconoscono più e iniziano a contrapporsi.
“L’Oxford Dictionary ha eletto come parola dell’anno, quest’anno, post-verità - afferma Massimiliano Valerii, direttore generale Censis - io dico emerge il primato di un relativismo emozionale rispetto a quella che potremo chiamare filosoficamente l’inemendabilità del reale. Se un capo politico, uno dei principali leader politici la settimana scorsa ha invitato gli elettori a ‘votare con la pancia, non usate la testa’, cito alla lettera, è evidente che sta succedendo qualcosa da questo punto di vista assolutamente nuovo”.
Il Censis segnala una tendenza innegabile alla politica disintermediata e alla verticalizzazione del comando, visibile in un disinnamoramento dei cittadini nei confronti della politica. I dati dell’indagine registrano un picco nella sfiducia degli italiani: l’89,4% degli italiani esprime un’opinione negativa sui politici di fronte di un misero 4,1% di positivi, percentuale che resta elevata in ogni fascia di età. Questa quota, sottolinea Valerii, non era mai stata così alta: una sconfitta per tutti i soggetti intermediari tradizionali. Nel Rapporto vediamo come i partiti politici si trovino al penultimo posto nella graduatoria dei soggetti in cui gli italiani hanno più fiducia; al di sotto si collocano solo le banche. Il destino è il populismo, il ritirarsi ciascuno nel proprio orto; con il potere politico e il corpo sociale che non dialogano: allora la gente si sente rancorosamente vittima di un sistema di casta.
L’UNIONE EUROPEA E LA GLOBALIZZAZIONE
“In Italia abbiamo visto, afferma Valeri, il rovescio del sogno europeista e dell’ottimismo autocelebrativo della retorica della globalizzazione”. Secondo le indagini l’uscita dall’Unione europea registra il 67% di contrari, ma un 22,6% consistente di favorevoli e un 10,4% di indecisi. Il ritorno alla lira è contrastato dal 61,3%, l’abolizione del trattato di Schengen dal 60,4%, ma sono comunque alte le percentuali di favorevoli (28,7% nel caso della lira, 30,6% per la chiusura delle frontiere) e indecisi. Nell’anno della Brexit e di forte debolezza dell’Unione europea c’è un tema che accomuna i cittadini europei: si tratta dell’immigrazione, cui è sempre più legata la paura di subire attacchi terroristici. Eppure, segnala il Censis, senza stranieri è rischio declino per l’Italia. Nell’ultimo anno, rileva il rapporto, l’allarme demografico ha raggiunto il suo apice: diminuisce la popolazione (nel 2015 le nascite sono state 485.780, il minimo storico dall’Unità d’Italia a oggi), la fecondità si è ridotta a 1,35 figli per donna, gli anziani rappresentano il 22% della popolazione e i minori il 16,5%. Senza giovani né bambini, il nostro viene percepito come un Paese senza futuro.
E’ sicuramente la scuola, in cui per la prima volta si mette alla prova la propria attitudine alle relazioni, uno degli ambiti in cui bisogna concentrare gli sforzi per una buona integrazione. Gli alunni stranieri che siedono nelle nostre aule sono più di 814 mila; un numero che si è quasi duplicato (+89,0%) rispetto a dieci anni fa. Circoscrivendo l’analisi alla scuola secondaria, sono oltre 350.000 gli studenti stranieri: pubertà e adolescenza sono fasi della vita decisive in termini di evoluzione personale e di consapevolezza e quindi è cruciale l’inclusione fra i banchi, anche perché gli stranieri di seconda generazione studiano e desiderano migliorare la propria condizione sociale. Una prova? Nell’ultimo anno, i licei sono stati scelti dal 25,6% degli studenti stranieri con una crescita 4,6% rispetto a cinque anni fa, così come gli iscritti stranieri all’Università sono oltre 70.000, con una crescita del 83,7%, mentre gli universitari italiani diminuiscono progressivamente.
Ci salveranno gli stranieri dunque? Pare proprio di sì. Sono loro non solo a generare più figli, ma anche ad avere una visione positiva del futuro e a portarla avanti con determinazione.
LA DISINTERMEDIAZIONE NELLA COMUNICAZIONE DIGITALE: IL MEDIA SIAMO NOI
Il corpo sociale, sottolinea De Rita, sta “ruminando” il processo di digitalizzazione, il rapporto di mediazione. Nonostante la riduzione dei consumi registrata nelle famiglie dal 2007, quello che emerge dal rapporto Censis, colpisce. Evidente è il picco negli acquisti di computer (+41,4%) e soprattutto smartphone (+191,6%), strumenti che consentono di incrementare il potere individuale di disintermediazione. “Le persone tramite gli strumenti digitali, afferma Valerii, bypassano gli intermediari, sia per quanto riguarda i propri palinsesti informativi, sia quando si tratta di accedere a beni e servizi. Significa, risparmiare meno soldi, risparmiare tempo, ma soprattutto incrementare l’arbitraggio individuale”.
I dati del 2016 attestano che l’utenza web è arrivata al 73,7% (nel caso dei giovani il dato tocca i 95,9%), il 64,8% degli italiani usa lo smartphone (l’89,4% nel caso dei giovani), ma altrettanto rilevanti sono le percentuali in merito a Whatsapp, Facebook, Youtube. Per la prima volta nel 2015 il numero di sim abilitate all’utilizzo di internet ha superato quelle per i servizi voce e i consumi unitari di traffico relativi ai servizi dati hanno avuto un incremento pari al 45%.
La grande trasformazione dei media ha favorito la personalizzazione delle modalità di fruizione dei contenuti e dei percorsi di accesso alle informazioni, scardinando così la gerarchia tradizionale dei mezzi che attribuiva alle fonti professionali dell’informazione un ruolo esclusivo: ormai non ci si informa più soltanto attraverso quotidiani e Tg. Ma il dato che vediamo ogni giorno crescere sotto i nostri occhi è la nuova fase all’insegna del primato del “condividere” sul diritto alla riservatezza: il nostro io è il contenuto e il suo rivelamento è la prassi come nel selfie. “Broadcast yourself”, recita lo slogan di Youtube: l’individuo si rispecchia nei media creati dall’individuo stesso. Insomma, il media siamo noi!