“Ringrazio chi ha avuto fiducia in me e in Fabiano, nell’aiuto che gli ho fornito e che continuerò a rivendicare sempre”. Cappato ha la voce rotta ma il collo della camicia aggiustato dentro il pullover quando, tra le gelide pareti del Tribunale di Milano, commenta l’ordinanza del giudice chiamato a pronunciarsi dopo la sua autodenuncia per assistenza al suicidio. Né assolto né condannato: l’atto finale spetta alla Consulta e Marco, che aveva aiutato a morire per sua stessa volontà Fabiano Antoniani - dj rimasto tetraplegico e cieco dopo un incidente stradale -, può abbracciare i suoi cari e sperare in una decisione capace di rivoluzionare non solo la questione penale, ma soprattutto quella etica.
Marco, come spiegheresti a un adolescente che non ha mai sentito parlare di eutanasia o biotestamento, la lotta che stai portando avanti?
Ciascuno di noi può essere in condizioni di malattia o di sofferenza insopportabile. Ciascuno di noi ha il diritto di scegliere per se stesso, lottando per vivere e per essere curato o aiutato. Quando però si entra in una situazione irreversibile, di sofferenza insopportabile, ci può essere anche il diritto di scegliere di fermarsi.
La lotta che sto portando avanti è affinché questa scelta non venga ostacolata o impedita da altri o dallo Stato, bensì assistita nel modo più dignitoso possibile.
Chi è per te Dj Fabo?
La persona che ha avuto fiducia in me. Sarebbe stato più semplice fare tutto clandestinamente per lui, l’eutanasia è un fenomeno che esiste nella clandestinità o nell’esilio. Fabo si è reso le cose più complicate, agendo pubblicamente non solo per me ma per tutti i cittadini che ritengono di dover essere liberi di scegliere. Questo suo coraggio ha avuto come conseguenza, dopo la mia autodenuncia, il processo nei miei confronti che ora arriverà davanti alla Corte Costituzionale. Ora dovranno stabilire se l’articolo 580 del codice penale del 1930, in grado di condannare l’aiuto al suicidio per 10-12 anni, sia compatibile con la nostra Costituzione.
A che punto è il processo a livello morale?
Penso d’aver fatto il mio dovere esaudendo la richiesta di Fabo. Ora vedremo se sarà riconosciuto come un mio diritto. Sono determinato ad andare avanti. Le persone si sono rese conto di quanto sia giusto scegliere. Ciò non significa che tutti farebbero la scelta di Fabo, si può essere contrari per motivi personali, morali o religiosi. Ma è fondamentale non imporre le proprie scelte agli altri.
Quale sarebbe il risultato che, alla fine di tutto, ti farebbe dire: “vado a dormire felice”?
Se, come in Belgio, Olanda e Svizzera, il malato venisse aiutato in tutti i modi possibili sia a vivere che a morire. Consentire questa libertà alla fine della vita è particolarmente importante, è un emblema di come lo Stato possa rispettare le nostre volontà e non solo infilarcisi dentro.
La nuova legge sul biotestamento?
Un ottimo passo in avanti. Prevede che ciascuno di noi possa rifiutare delle terapie, senza obblighi. Si possono lasciare delle indicazioni a un fiduciario nel momento in cui non dovessimo essere più in grado di intendere né di volere, per evitare che siano imposte da altri volontà sul nostro corpo. È un’ottima legge che riguarda la scelta di “staccare la spina”, ma manca l’aspetto dell’aiuto attivo dell’eutanasia. Penso ai malati di tumore, che comunque dovrebbero avere diritto di morire senza soffrire.
Qual è l’impegno che vorresti prendesse la classe politica attuale per sensibilizzare gli elettori nel merito?
Come Associazione Luca Coscioni abbiamo creato un sito internet, con hashtag #tivotosetiimpegni, in cui chiediamo a tutti i partiti di prendere impegni sul tema. Tra le altre tematiche segnalo anche la ricerca scientifica sulla modificazione del genoma umano o la legalizzazione delle droghe, la ricerca sulle staminali e i diritti dei disabili. Ci sono soggetti politici che da sempre sono impegnati su questo, vedi i Radicali Italiani e la Bonino. Ma queste riforme passano trasversalmente. Sono temi che non appartengono a una fazione, ma alla sensibilità di ciascun cittadino e di ciascun parlamentare.
Cosa significa essere radicali nel ventunesimo secolo?
Andare alla radice dei problemi e non farsi abbindolare dalle false risposte. Alla base c’è sempre una questione di diritto e di libertà, nel nostro Paese le regole di fondo non sono rispettate e questo danneggia il più debole o il più povero. Chi si può permettere economicamente la risoluzione dei suoi problemi, di solito, li risolve. Anche per l’economia è fondamentale che le regole siano rispettate. Le aziende se ne vanno perché la giustizia è così penosa che l’Italia non è un buon Paese per fare mercato.