Cinema e Teatro
Chi l’ha detto che i remake non funzionano?
Il ritorno de Il Re Leone e di Pennywise, quando il cinema è ciclico e il mercato gli dà sempre ragione
Riccardo Cotumaccio | 19 settembre 2019

Esistono gli haters dei remake? Qualche fedelissimo dei grandi classici, forse, ma il mercato non rientra mai tra questi. C’è chi punta il dito contro la poca fantasia degli attuali sceneggiatori, chi invece difende a spada tratta il riciclo dei grandi titoli del cinema. A vincere, però, è sempre l’intrattenimento, che raramente delude il mondo dei nerd - un po’ vecchiotti - ma soprattutto dei giovani, attratti dal vivere determinate esperienze come proprie della loro generazione e non come lontano ricordo dei propri genitori.

Il secondo capitolo di It, oltre che in termini di incassi, funziona pure sul campo della qualità. Dopo aver dimostrato nella sua prima parte - uscita nel 2017 - di poter dire qualcosa al grande pubblico, Andrea Muschietti conferma la spiccata capacità di stupire lo spettatore con una regia meticolosa e allo stesso tempo fedele al romanzo. La trama è nota praticamente a tutti: ventisette anni dopo aver incontrato per la prima volta Pennywise, Mike chiama a raccolta i componenti del Club dei perdenti, suoi amici di infanzia, per fronteggiare il ritorno del mostruoso clown di Derry. L’avventura ricomincia tra paure, incertezze e voglia di porre fine a un incubo mai superato. Tanti gli spunti da elogiare, a partire dalla scelta del cast adulto sulla base dei piccoli attori selezionati per il primo capitolo. La sorprendente somiglianza di ognuno dei personaggi dona alla storia un tocco di credibilità in più, capace di immergere il pubblico in una dolce e preoccupante atmosfera di empatia con gli sventurati protagonisti. I tratti distintivi dello stile di Stephen King - presente nei panni di se stesso in un divertentissimo cameo - si riconoscono tutti: lo spirito di gruppo, il viaggio nelle proprie paure e l’immancabile tendenza al soprannaturale compongono il cocktail perfetto per rendere il film non un semplice horror, bensì qualcosa di più. Unica pecca, l’eccessiva durata della pellicola. Il binomio costante degli incontri con It tra infanzia ed età adulta risulta alla lunga non noioso, ma sì ripetitivo. Un appunto migliorabile in fase di montaggio.

Tutt’altro che spaventosa è la storia di Simba ne Il Re Leone, riproposto in versione computerizzata e fotorealistica a venticinque anni dal suo esordio in sala come cartone animato. Diciamolo subito: la versione di Jon Favreau ricalca quasi del tutto l’andamento del grande classico Disney, aggiungendo qua e là - con molta discrezione - piccoli particolari. La resa è clamorosamente realistica, tanto da dare la sensazione di assistere a un vero e proprio documentario di National Geographic. La questione è quindi puramente affettiva per quanto riguarda il pubblico, estetica invece sul tema della critica cinematografica. La trama - di ispirazione shakespeariana - è forse tra le più vincenti di sempre nella storia di Hollywood, inutile metterne in dubbio la validità. I personaggi, invece, perdono sì di espressività ma mantengono la grandissima forza di scrittura che ormai più di vent’anni fa ha segnato per sempre più di una generazione. Qualche dialogo leggermente modificato spegne il labiale di tanti trentenni pronti a doppiare in sala i personaggi su grande schermo, ma nella vita - si sa - si deve pur voltar pagina. Due grandiosi comuni denominatori collegano le opere uscite nel 1994 e nel 2019: la voce di James Earl Jones - entrambe le volte doppiatore di Mufasa - e le musiche di Hans Zimmer, il cui unico Oscar vinto porta proprio la firma del primo The Lion King

“Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano”, canta Antonello Venditti. Nella vita, come nel cinema, certe emozioni restano incrollabili e soprattutto, dato da non ignorare, migliorabili. È il caso di It, capace di esprimersi al meglio rispetto alla miniserie televisiva di inizio anni ’90, e de Il Re Leone, un grande classico la cui potenza, maestosa, non può essere ignorata negli anni; anzi, torna splendente e luminosa come prima ma in una rinnovata veste.

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