L'universo di Guerre Stellari è così vasto da rendere impossibile il sogno di metter d'accordo tutti. Chiudere 'sotto scroscianti applausi' una saga inaugurata quarantadue anni fa, capace di incantare almeno tre generazioni, sarebbe stata impresa ardua per qualsiasi regista. Produrre invece una trilogia dal filo compiuto e una certa coerenza di fondo no, non avrebbe trovato grossi ostacoli. Stando alla sua conclusione, presentata ieri in anteprima mondiale, così è stato. The Rise of Skywalker non solo scombina i pezzi dei due puzzle precedenti, ma scompiglia pure le carte in tavola dell'ultimo. La mancanza di idee e la conseguente, eccessiva presenza di richiami alle prime trilogie evidenzia un enorme difficoltà di scrittura, presentandoci una storia dai mille risvolti che invece percorre solo scorciatoie. Il ritorno di Palpatine - ampiamente spoilerato nei trailer precedenti all'uscita del film - è il simbolo di un franchise fermo al riferimento storico e mai passato a uno step successivo. Le esigue tracce di ambizione narrativa che sopravvivono nel nono episodio - il rapporto tra Rey e Ben e i loro rispettivi conflitti interni - affogano nel tentativo di accontentare tutti tratteggiando i punti di una sinossi pure accettabile, ma raccontata con una leggerezza e superficialità viste prima - forse - solo nel poco sorprendente The Force Awakens. Qui però si combina un guaio peggiore: se in Episodio VII si è dato il la a una nuova trilogia partendo dal copiare la struttura di un film già esistente - A New Hope - nel IX capitolo si chiude un'era moltiplicando al cubo ogni singola scelta.
SPOILER, da qui in poi:
Per darvi un'idea: Darth Sidious sopravvive non sappiamo come al tuffo nel vuoto provocato da Vader prima dell'esplosione della Morte Nera, ripresentandosi - tadaaaaaan - sotto forma di un mix letale tra fantasma e robot; può succhiare vita dagli altri ringiovanendo e scatenare raggi d'energia talmente potenti da annullare le forze di un intero esercito galattico. Non solo, è circondato da una schiera infinita di adepti Sith di cui nessuno sa spiegare l'origine. Veniamo a Rey: non solo sa guarire il prossimo, ma improvvisamente trova la forza di trattenere astronavi in cielo. Condiamo il tutto con alcuni sprazzi di bassa commedia romantica all'americana: Kylo Ren si redime dopo una normalissima - nonché già vista - connessione a distanza con la madre, per poi soccombere dando la vita a Rey al termine di un appassionatissimo bacio; lei, talmente sconvolta da lasciare il pianeta senza pensarci due volte, volta subito pagina. Leia muore a caso, il tutto dopo un flashback in cui duella (inaspettatamente meglio di qualsiasi altro maestro Jedi) in giovane età col fratello Luke. Non è bastato, a conti fatti, farla volare a caso nello spazio. Impossibile non citare il colpo di scena dei colpi di scena: Rey è la nipote di Palpatine, pronto ad attenderla sul suo trono. Un incrocio tra Game of Thrones e Beautiful.
Per capirci meglio: il film ha un ritmo incessante e non annoia di certo, ma lascia basiti per la leggerezza delle scelte contenutistiche e la loro realizzazione. Raramente emergono scene di un certo spessore nei dialoghi - sarebbe bastato qualcosa del genere, tratto del criticatissimo The Last Jedi - o nell'innovazione stilistica. Ancora una volta il duello tra spade laser regala poche emozioni, stavolta anche sul piano delle musiche (non ce ne voglia John Williams, ma i livelli di Duel of Fates non li abbiamo minimamente sfiorati). Inutile spremersi sul come e perché una flotta imperiale di proporzioni bibliche, in grado di distruggere interi sistemi solari, risulti incapace di sconfiggere una piccola e improvvisata resistenza. Altrettanto vano è il tentativo di spiegarci quanto la presenza di Palpatine abbia improvvisamente ridotto Snoke al ruolo di mero e inutile burattino.
La sensazione è che ogni regista abbia scelto di sua iniziativa cosa fare, senza guardare troppo al progetto globale della terza, fatidica trilogia. J. J. Abrams prende in mano il progetto dando il via a una terza storia che sembra la copia della prima, Ryan Johnson prova il salto di qualità compiendo un numero considerevole di scelte discutibili e infine di nuovo lui, Abrams, sferra il colpo di grazia sfornando un mappazzone di barbieriana memoria. Una chiusura del cerchio scorretta: il compimento del fallimento narrativo della Disney.