Cosa direbbe Euripide per parlare oggi della sua Medea, la famosissima tragedia greca che ancora oggi continua a essere rappresentata e letta creando turbamento e sconvolgimento nei lettori? “Mi rivolgo ai posteri in qualità di cittadino ateniese e affermato tragediografo - è la lettera che potrebbe scrivere -. Tenterò, attraverso le mie parole, di rispondere a ciò che volete sapere. Correva l’anno 431 prima della nascita di Cristo e, di lì a poco, sarebbe scoppiata quella che voi, abitanti del nuovo tempo, solete chiamare Guerra del Peloponneso. Ignari delle tragiche conseguenze cui sarebbe andata incontro la città di Atene, a furor di popolo vennero organizzate le Grandi Dionisie, celebrazioni dedicate al dio Dioniso, in occasione delle quali misi in scena per la prima volta la tragedia di Medea, che — ho il piacere di constatare — ha riscosso tanto successo presso i miei contemporanei e posteri. Della mia produzione letteraria Medea è la figura che maggiormente affascina e inorridisce. Costei porta un nome che la tradizione ha fatto opportunamente derivare da mêdea (“pensieri”), da cui deriva a sua volta il verbo médomai (“escogitare”, “essere scaltro”). Medea è un turbine di emozioni e contorta è la sua psiche. Si presenta essenzialmente come conoscitrice di fármaka (“pozioni”) sia benefici sia mortali e abile orditrice di riti sacrificali… insomma, una moderna serial killer! Tuttavia, dietro l’indole sadica e malvagia, si cela un animo passionale, che trova la sua massima espressione nell’arrivo di Giasone presso la regione della Colchide, patria di Medea, insieme con gli Argonauti. Giasone è motivato dalla ricerca del Vello d’oro, il mantello di un montone magico che, dalla Grecia all’Asia, avrebbe condotto in salvo i due giovani Frisso ed Elle. L’eros è però fonte di accecamento per la donna: spudoratamente tradisce e uccide gli affetti più cari, tra cui il padre e il fratello, e incoscientemente abbandona la propria patria per essere al seguito di un perfetto sconosciuto, del quale si era perdutamente innamorata. Ah, Medea! Quale sbaglio facesti a lasciare le tue certezze e ad accogliere l’ignoto! L’amore per Giasone diviene ben presto inquieto e tormentato, e la città corinzia ne sancisce la fine. L’uomo è infatti colto dal desiderio di prendere in moglie Creusa, la figlia del tiranno di Corinto, con lo scopo di accrescere il proprio prestigio, e abbandona quella donna che si scopre essere stata per lui soltanto un mezzo per accedere al Vello d’oro. Il ripudio è dunque la causa per cui si scatena l’ira di Medea, alla quale viene presto intimato di abbandonare Corinto. Ed è a questo punto che si compie il volere di una donna tradita, lucida, divenuta barbara in terra straniera, pentita di essersi aggrappata ad un egoistico póthos (cioè il desiderio di possedere Giasone). La vendetta di Medea si espleta senza esitazioni: manda in dono a Creusa, sua rivale, vesti avvelenate che la fanno morire tra le fiamme, mentre il padre, nel tentativo di salvarla, muore con lei. E, pur di non perdere i figli, si spinge sino all’impensabile: li uccide, condannando se stessa e il marito a un’eterna infelicità. Uccisi i figli e sottratti i loro corpi al padre, Medea li porta con sé su un carro alato, alla volta di Atene. Ma, di fatto, inammissibile è il suo gesto, ma legittima è la sua ira: infatti alla vendetta subentra adesso il dolore, il dolore di una donna, di una madre, alla quale è stata negata la maternità. Medea è fuori di sé, ma, nella propria insanità mentale accentuata dall’ira, è sciente del rovinoso destino cui andrà incontro, poiché è sola, priva del marito, di una famiglia e di una patria a cui rivolgersi.Vogliate dunque conoscere questa figura tanto interessante quanto enigmatica. Cari lettori e amatori della cultura classica, leggete anche Seneca, che della mia tragedia ha fatto una degna reinterpretazione.”
Oggi…
La tragedia di Medea risulta estremamente attuale. Oggi si parla infatti di “sindrome di Medea”, strettamente legata al “complesso di Medea”. Secondo lo psicologo Jacobs, si tratta di un comportamento materno o paterno volto alla distruzione del rapporto tra uno dei due coniugi e i figli in seguito alle separazioni di carattere conflittuale, come forma di vendetta. Secondo Gardner, inoltre, i genitori possono assumere un atteggiamento “alienante”, caratterizzato cioè da un odio patologico esteso al coniuge e persino ai figli, per fare in modo che i figli stessi preferiscano un genitore rispetto all’altro. Si configura così la gelosia patologica, che sfocia nell’intensificazione della passione, in quanto il geloso subisce e poi agisce, arrivando anche all’uccisione del figlio, strumento di potere e di rivalsa sul coniuge.