Miracolo. Un tema scottante senza retorica
Il volto ironico dell’immigrazione
Dimenticate le favolette buoniste sugli immigrati. In sala due film ribaltano gli stereotipi con leggerezza o con un tono fiabesco che ricorda il grande Chaplin. Saranno lacrime e risate
Melusina, 19 anni | 2 dicembre 2011
Chissà perché ma quando si parla di film sull’immigrazione siamo tutti abituati a pensare ai film tragici sugli sbarchi a Lampedusa e a sottovalutare chi con levità riesce a farci commuovere, riflettere e sorridere. Magari con immagini che ti restano in testa facendoti ripensare a quando anche noi italiani eravamo disperati e soli in terre straniere e la solidarietà tra poveracci era pane quotidiano di un dopoguerra di macerie.
Due film nelle sale a dicembre riescono a divertire con intelligenza: Miracolo a Le Havre del grande regista finlandese Aki Kaurismäki, dove un ragazzo clandestino sfugge alla polizia grazie a un lustrascarpe, e Almanya – La mia famiglia va in Germania, una travolgente commedia on the road con al centro una famiglia turca emigrata in Germania.
Procediamo con ordine. In Miracolo a Le Havre il lustrascarpe Marcel Marx vive tra la casa che divide con la moglie Arletty e la cagnolina Laika, il bar del quartiere e la stazione dei treni, dove esercita di preferenza il proprio lavoro. Il caso lo mette di fronte all’incontro con Idrissa, un ragazzino immigrato dall’Africa, approdato in Francia in un container e sfuggito alla polizia. Con l’aiuto dei vicini di casa e la pazienza di un detective sospettoso, ma non inflessibile, Marcel si prodiga per aiutare Idrissa a passare la Manica e raggiungere la madre in Inghilterra.
È tutto qui il miracoloso nodo di ottimismo e amarezza di cui è fatto il film che ricorda Il Monello di Chaplin per l’aiuto prestato dall’adulto al ragazzino e per il tono fiabesco che sembra volerci rammentare che un altro mondo è possibile se solo lo vogliamo.
Il regista non cancella certo la tragicità del reale - la povertà, la cattiveria, l’emarginazione, la repressione, la delazione - ma aiuta invece a capire da che parte schierarsi.
Campione d’incassi in patria, con oltre 11 milioni di euro al box office, Almanya – La mia famiglia va in Germania è invece una commedia capace di divertire e commuovere raccontando una storia attualissima.
Protagonista del film è la famiglia Yilmaz, emigrata in Germania dalla Turchia negli anni ’60 e giunta ormai alla terza generazione. Dopo una vita di sacrifici, il patriarca ha finalmente realizzato il sogno di comprare una casa in Turchia e ora vorrebbe farsi accompagnare fin lì da figli e nipoti per risistemarla. Malgrado lo scetticismo iniziale, la famiglia al completo si mette in viaggio e alle nuove avventure nella terra d’origine si intrecciano i ricordi tragicomici dei primi anni in Germania (Almanya in turco). Lungo il tragitto, però, vengono a galla molti segreti e tutta la famiglia si troverà ad affrontare la sfida più ardua: quella di restare unita.
Applauditissimo all’ultimo Festival di Berlino, il film segna l’esordio nel cinema delle giovani sorelle Yasemin e Nesrin Samdereli, rispettivamente regista e co-sceneggiatrice, che hanno girato in forma di commedia i loro ricordi di ragazze tedesche di origine turca. Raccontano Yasemin e Nesrin: «Tempo fa abbiamo iniziato a notare che molte persone trovavano divertenti i racconti della nostra infanzia, racconti di due bambine di origine turca nate a Dortmund. Il nostro film affronta delle domande chiave: perché siamo qui, come tutto è cominciato e cosa significa essere “stranieri”».
Secondo voi il multiculturalismo è finito?
«Oggi in Germania è in corso un intenso dibattito su come risolvere la questione dell’integrazione. A volte il multiculturalismo sembra essere finito, ma quello che troviamo nei titoli dei giornali è solo quello che NON funziona. Almanya – La mia famiglia va in Germania ci ricorda che questi lavoratori stranieri erano invitati dal governo tedesco e che hanno dato un enorme contributo alla stabilità economica del Paese. Avevano il diritto di restare e i loro figli e nipoti sono cittadini tedeschi a tutti gli effetti. Questo è quanto dice il nostro film: siamo qui e per noi è giusto così».
Chiedevamo dei lavoratori e sono arrivate delle persone
Turchi e italiani in Germania
Nel secondo dopoguerra, le aziende della Repubblica Federale Tedesca iniziarono a lamentarsi per la mancanza di operai. La prima causa del problema era la guerra stessa, che aveva ridotto drasticamente la popolazione maschile. I primi accordi tra Stati per reclutare dei lavoratori stranieri furono stipulati con l’Italia nel 1955. Riguardo agli italiani, furono ben 3 milioni i lavoratori a varcare la frontiera tedesca, prevalentemente di origine siciliana, calabrese, abruzzese e pugliese, ma anche veneta ed emiliana.
In base a un trattato firmato con la Turchia nel 1961, iniziarono ad arrivare in Germania Ovest anche i turchi, che raggiunsero in poco tempo le 826mila unità: per la Turchia era un modo di cercare una soluzione ai propri problemi economici e sociali, per i tedeschi quello di ottenere manodopera a basso costo a sostegno del boom di quegli anni. Inoltre, era nell’interesse della NATO stabilizzare un paese come la Turchia, di grande valenza strategica durante la Guerra Fredda.
La maggior parte dei lavoratori turchi arrivava da Istanbul con treni speciali, che impiegavano circa 50 ore per giungere a destinazione passando per la Grecia. Solo negli anni Settanta furono inaugurati dei tragitti più rapidi attraverso la Bulgaria, ma d’altra parte nel 1973 venne posta fine al trattato di reclutamento fra i due Stati. In quell’anno il numero complessivo di lavoratori stranieri presenti in Germania Ovest era di ben 4 milioni.
Tra il 1961 e il 1973 più di 2,6 milioni di turchi hanno fatto richiesta di lavoro per entrare in Germania e a chiunque passasse i test imposti dalle autorità tedesche (che riguardavano la salute, l’istruzione, le attitudini professionali) era concesso il visto. La maggior parte di queste persone veniva inviata nella regione della Ruhr, enorme agglomerato urbano nato intorno ai giacimenti minerari.
La popolazione turca in Germania ha continuato a crescere negli anni grazie alla politica dei ricongiungimenti famigliari e ai matrimoni contratti nel nuovo Paese. Oggi i cittadini di origine turca sono alla quarta generazione. Secondo l’Istituto di Statistica tedesco, dei 6,7 milioni di stranieri che nel 2009 vivevano nella Germania riunificata, i turchi costituiscono il gruppo più ampio con 1 milione 660mila unità. La rappresentanza italiana è invece di 650mila persone.
Due film nelle sale a dicembre riescono a divertire con intelligenza: Miracolo a Le Havre del grande regista finlandese Aki Kaurismäki, dove un ragazzo clandestino sfugge alla polizia grazie a un lustrascarpe, e Almanya – La mia famiglia va in Germania, una travolgente commedia on the road con al centro una famiglia turca emigrata in Germania.
Procediamo con ordine. In Miracolo a Le Havre il lustrascarpe Marcel Marx vive tra la casa che divide con la moglie Arletty e la cagnolina Laika, il bar del quartiere e la stazione dei treni, dove esercita di preferenza il proprio lavoro. Il caso lo mette di fronte all’incontro con Idrissa, un ragazzino immigrato dall’Africa, approdato in Francia in un container e sfuggito alla polizia. Con l’aiuto dei vicini di casa e la pazienza di un detective sospettoso, ma non inflessibile, Marcel si prodiga per aiutare Idrissa a passare la Manica e raggiungere la madre in Inghilterra.
È tutto qui il miracoloso nodo di ottimismo e amarezza di cui è fatto il film che ricorda Il Monello di Chaplin per l’aiuto prestato dall’adulto al ragazzino e per il tono fiabesco che sembra volerci rammentare che un altro mondo è possibile se solo lo vogliamo.
Il regista non cancella certo la tragicità del reale - la povertà, la cattiveria, l’emarginazione, la repressione, la delazione - ma aiuta invece a capire da che parte schierarsi.
Campione d’incassi in patria, con oltre 11 milioni di euro al box office, Almanya – La mia famiglia va in Germania è invece una commedia capace di divertire e commuovere raccontando una storia attualissima.
Protagonista del film è la famiglia Yilmaz, emigrata in Germania dalla Turchia negli anni ’60 e giunta ormai alla terza generazione. Dopo una vita di sacrifici, il patriarca ha finalmente realizzato il sogno di comprare una casa in Turchia e ora vorrebbe farsi accompagnare fin lì da figli e nipoti per risistemarla. Malgrado lo scetticismo iniziale, la famiglia al completo si mette in viaggio e alle nuove avventure nella terra d’origine si intrecciano i ricordi tragicomici dei primi anni in Germania (Almanya in turco). Lungo il tragitto, però, vengono a galla molti segreti e tutta la famiglia si troverà ad affrontare la sfida più ardua: quella di restare unita.
Applauditissimo all’ultimo Festival di Berlino, il film segna l’esordio nel cinema delle giovani sorelle Yasemin e Nesrin Samdereli, rispettivamente regista e co-sceneggiatrice, che hanno girato in forma di commedia i loro ricordi di ragazze tedesche di origine turca. Raccontano Yasemin e Nesrin: «Tempo fa abbiamo iniziato a notare che molte persone trovavano divertenti i racconti della nostra infanzia, racconti di due bambine di origine turca nate a Dortmund. Il nostro film affronta delle domande chiave: perché siamo qui, come tutto è cominciato e cosa significa essere “stranieri”».
Secondo voi il multiculturalismo è finito?
«Oggi in Germania è in corso un intenso dibattito su come risolvere la questione dell’integrazione. A volte il multiculturalismo sembra essere finito, ma quello che troviamo nei titoli dei giornali è solo quello che NON funziona. Almanya – La mia famiglia va in Germania ci ricorda che questi lavoratori stranieri erano invitati dal governo tedesco e che hanno dato un enorme contributo alla stabilità economica del Paese. Avevano il diritto di restare e i loro figli e nipoti sono cittadini tedeschi a tutti gli effetti. Questo è quanto dice il nostro film: siamo qui e per noi è giusto così».
Chiedevamo dei lavoratori e sono arrivate delle persone
Turchi e italiani in Germania
Nel secondo dopoguerra, le aziende della Repubblica Federale Tedesca iniziarono a lamentarsi per la mancanza di operai. La prima causa del problema era la guerra stessa, che aveva ridotto drasticamente la popolazione maschile. I primi accordi tra Stati per reclutare dei lavoratori stranieri furono stipulati con l’Italia nel 1955. Riguardo agli italiani, furono ben 3 milioni i lavoratori a varcare la frontiera tedesca, prevalentemente di origine siciliana, calabrese, abruzzese e pugliese, ma anche veneta ed emiliana.
In base a un trattato firmato con la Turchia nel 1961, iniziarono ad arrivare in Germania Ovest anche i turchi, che raggiunsero in poco tempo le 826mila unità: per la Turchia era un modo di cercare una soluzione ai propri problemi economici e sociali, per i tedeschi quello di ottenere manodopera a basso costo a sostegno del boom di quegli anni. Inoltre, era nell’interesse della NATO stabilizzare un paese come la Turchia, di grande valenza strategica durante la Guerra Fredda.
La maggior parte dei lavoratori turchi arrivava da Istanbul con treni speciali, che impiegavano circa 50 ore per giungere a destinazione passando per la Grecia. Solo negli anni Settanta furono inaugurati dei tragitti più rapidi attraverso la Bulgaria, ma d’altra parte nel 1973 venne posta fine al trattato di reclutamento fra i due Stati. In quell’anno il numero complessivo di lavoratori stranieri presenti in Germania Ovest era di ben 4 milioni.
Tra il 1961 e il 1973 più di 2,6 milioni di turchi hanno fatto richiesta di lavoro per entrare in Germania e a chiunque passasse i test imposti dalle autorità tedesche (che riguardavano la salute, l’istruzione, le attitudini professionali) era concesso il visto. La maggior parte di queste persone veniva inviata nella regione della Ruhr, enorme agglomerato urbano nato intorno ai giacimenti minerari.
La popolazione turca in Germania ha continuato a crescere negli anni grazie alla politica dei ricongiungimenti famigliari e ai matrimoni contratti nel nuovo Paese. Oggi i cittadini di origine turca sono alla quarta generazione. Secondo l’Istituto di Statistica tedesco, dei 6,7 milioni di stranieri che nel 2009 vivevano nella Germania riunificata, i turchi costituiscono il gruppo più ampio con 1 milione 660mila unità. La rappresentanza italiana è invece di 650mila persone.
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