Alla Corte. Ma fuori del tempo
Elektra è o non è Elettra?
Redazione | 2 dicembre 2011
Gli appassionati d’opera conosceranno la versione lirica che ne ha dato Richard Strauss; qualcuno di noi l’avrà trovata citata sui libri di scuola come uno dei capolavori del Decadentismo e uno dei migliori “pezzi d’epoca” del liberty.
L’Elektra di Hugo von Hofmannsthal va in scena al teatro della Corte di Genova dal 13 al 18 dicembre, in una produzione del Teatro stabile del Veneto. Protagonista la genovese Elisabetta Pozzi, che alla Scuola di recitazione dello Stabile della sua città deve invece la formazione professionale. Proprio qui l’attrice debuttò nel 1974, al fianco di Giorgio Albertazzi, ne Il fu Mattia Pascal, per iniziare una carriera in cui i ruoli femminili problematici sono sempre stati centrali. Le grandi tragedie, classiche e moderne, l’hanno vista interprete di personaggi intimamente irrequieti, vittime dei drammi irrisolti – e irrisolvibili – dell’umano. Elettra in particolare le è familiare: nel 1996 l’attrice calcò la scena insieme a Mariangela Melato ne Il lutto si addice a Elettra di Eugene O’Neill, per la regia di Luca Ronconi, mentre nel 2002 interpretò la versione classica, di Euripide, diretta da Piero Maccarinelli. Ci avevano avvertiti, però: che l’omonimia non inganni troppo! La protagonista di Hofmannsthal assomiglia infatti molto più ad Amleto che all’eroina greca. Come Amleto, anche Elettra è un personaggio moderno, intento più a ragionare che a fare. Vuole uccidere ma non riesce a farlo. Immagina il matricidio, ma è incapace di agire. L’azione le è negata.
Che cosa resta della tragedia classica, al di là della trama? L’atemporalità, l’assolutezza dei dilemmi umani. Sull’Elektra di Hofmannsthal (scritta di getto, tra l’agosto e il settembre del 1903) incombe la coeva scoperta dell’inconscio freudiano. «La Grecia di Hofmannsthal – annota il regista Carmelo Rifici – è un’invenzione onirica del poeta, un incubo ossessivo dell’autore, insomma un sogno. O meglio, l’analisi ante-litteram dei sogni. Per questo ho deciso di ambientare la vicenda in un palazzo distorto, alla Escher, dove i personaggi, vestiti in abiti da manicomio devono a ogni parola pronunciata sbugiardare la possibilità di essere personaggi tragici e confermare la tragicità di non sapere più chi essi siano realmente: personaggi che vivono nell’incubo di Elettra, o incubi essi stessi di chi li guarda?».
L’Elektra di Hugo von Hofmannsthal va in scena al teatro della Corte di Genova dal 13 al 18 dicembre, in una produzione del Teatro stabile del Veneto. Protagonista la genovese Elisabetta Pozzi, che alla Scuola di recitazione dello Stabile della sua città deve invece la formazione professionale. Proprio qui l’attrice debuttò nel 1974, al fianco di Giorgio Albertazzi, ne Il fu Mattia Pascal, per iniziare una carriera in cui i ruoli femminili problematici sono sempre stati centrali. Le grandi tragedie, classiche e moderne, l’hanno vista interprete di personaggi intimamente irrequieti, vittime dei drammi irrisolti – e irrisolvibili – dell’umano. Elettra in particolare le è familiare: nel 1996 l’attrice calcò la scena insieme a Mariangela Melato ne Il lutto si addice a Elettra di Eugene O’Neill, per la regia di Luca Ronconi, mentre nel 2002 interpretò la versione classica, di Euripide, diretta da Piero Maccarinelli. Ci avevano avvertiti, però: che l’omonimia non inganni troppo! La protagonista di Hofmannsthal assomiglia infatti molto più ad Amleto che all’eroina greca. Come Amleto, anche Elettra è un personaggio moderno, intento più a ragionare che a fare. Vuole uccidere ma non riesce a farlo. Immagina il matricidio, ma è incapace di agire. L’azione le è negata.
Che cosa resta della tragedia classica, al di là della trama? L’atemporalità, l’assolutezza dei dilemmi umani. Sull’Elektra di Hofmannsthal (scritta di getto, tra l’agosto e il settembre del 1903) incombe la coeva scoperta dell’inconscio freudiano. «La Grecia di Hofmannsthal – annota il regista Carmelo Rifici – è un’invenzione onirica del poeta, un incubo ossessivo dell’autore, insomma un sogno. O meglio, l’analisi ante-litteram dei sogni. Per questo ho deciso di ambientare la vicenda in un palazzo distorto, alla Escher, dove i personaggi, vestiti in abiti da manicomio devono a ogni parola pronunciata sbugiardare la possibilità di essere personaggi tragici e confermare la tragicità di non sapere più chi essi siano realmente: personaggi che vivono nell’incubo di Elettra, o incubi essi stessi di chi li guarda?».
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