Coming soon. Un giorno questo dolore ti sarà utile nelle sale dal 24 febbraio
Un giovane Holden anni 2000
Roberto Faenza ci regala un’intensa storia di formazione dei nostri tempi. Con un messaggio per i ragazzi: “Non abbiate paura di essere diversi dagli adulti, siete migliori”
Chiara Cacciotti | 3 febbraio 2012
"Ho 17 anni e non amo molto parlare. Sono un anarchico, odio la guerra, la politica e la religione organizzata”. Questo è James, adolescente americano alla ricerca della propria identità, protagonista del nuovo film di Roberto Faenza Un giorno questo dolore ti sarà utile, dall’omonimo best seller di Cameron. James vive a New York, ma potrebbe stare a Roma, o a Londra o a Parigi: la sua storia è quella di tanti ragazzi che vivono l’incertezza tipica dell’adolescenza. Solo che oggi essere giovani è ancora più difficile: a spiegarci perché è Faenza in una splendida chiacchierata.
James è introverso e solitario: abitare a New York non lo aiuta…
«New York è una città collettiva, non dà la possibilità agli individui di venir fuori, può generare il desiderio di emarginazione, di non partecipare a questa “orgia” di avvenimenti».
Tutti lo ritengono “strano”, ma James si rivela essere l’elemento più maturo della famiglia. Accade così anche nella realtà? E cosa significa essere “diverso” e “normale”?
«Penso che la diversità oggi sia soprattutto nella scala del potere: chi lo ha vede come diversi quelli che non ce l’hanno, perché in realtà non vuole che questi vi accedano. Anche nella famiglia avviene questo: il potere sta nei genitori, in particolare nella figura paterna; quando vedono che il figlio non si allinea ai loro valori iniziano a ipotizzare che sia un diverso, proprio come il nostro protagonista. La famiglia di James fotografa bene la condizione di tante famiglie: oggi i genitori, nella stragrande maggioranza dei casi, non sono in grado di assolvere al loro compito. Delegano ad altri l’educazione dei più giovani: peccato che questi altri si chiamino televisione, computer, media. La stessa cosa accade per gli insegnanti: anche loro hanno in gran parte abdicato alla loro funzione, non sono in grado di gestire le classi. Io penso che le persone adulte si trovino davanti a dei giovani così distanti dal loro ideale di mondo che alla fine non possono che diventare loro nemici. Non esiste detto più vero di quello di Gide: “Famiglia ti odio”, perché la famiglia oggi sta diventando il baluardo più conflittuale della società».
E questo cosa comporta?
«James è un ragazzo che rappresenta moltissimi adolescenti di oggi, che non hanno avuto delle guide - nel nostro caso l’unica parvenza di guida è sua nonna - non hanno idee chiare su quale possa essere il proprio futuro, e quindi sbandano. Credo però che nella loro anima ci sia comunque un tentativo di giustizia che non c’è più negli adulti».
James ama leggere e andare a teatro: attività che oggi vengono spesso etichettate come superflue…
«La cultura oggi è sicuramente uno dei motori più importanti per i giovani, anche se purtroppo viviamo in un mondo deculturizzato: la televisione, non per essere banale, è di una tale superficialità e incapacità di scavare nella realtà da diventare il più grande nemico della cultura di massa».
Quella di James è una storia di formazione, di ricerca della propria identità: secondo lei i ragazzi di questa generazione sono più forti o più deboli nel cercarla?
«Penso siano più deboli semplicemente perché sono più minacciati dall’esterno. C’è un attacco concentrico nei loro confronti, in particolare dai media e dal consumismo: diventa più difficile reagire, si è più fragili e deboli. Io penso che i ragazzi oggi conoscano anche inconsapevolmente il pericolo che viene dal mondo costruito dagli adulti. Un mondo in cui non si riconoscono e per cui, giustamente, si indignano».
Quindi non siamo una generazione di bamboccioni e sfigati…
«Assolutamente no. Ma dobbiamo anche fare i conti con quelli che io chiamo “evasori culturali”. Sono quelli che si possono permettere di stare anche dieci anni all’università – non parlo degli studenti lavoratori naturalmente. Il fatto che un corpo docenti, che un’amministrazione, che una comunità come l’università debba pagare cinque o sei anni in più di uno studente che non si laurea è un grosso onere per tutti noi».
Abbiamo parlato della televisione: e il cinema? Questo è un film girato negli States, ma com’è la situazione in Italia?
«Da noi a mio avviso c’è censura ed autocensura. Ormai in Italia per produrre un film si passa da un gruppo monopolista a un altro: non ci sono altre fonti di finanziamento in questo momento. Questo tipo di oligopolio comporta un figlio della censura forse anche peggiore, ovvero l’autocensura. Gli autori, sapendo che i propri film possono essere finanziati solo da pochissime aziende, non proporranno mai cose che possano contrastare la loro cultura. Questo limita moltissimo il cinema italiano, che oggi è diventato totalmente privo di coraggio».
Giovani più fragili, mondo deculturalizzato, il paese in crisi: quanto questo dolore un giorno ci sarà utile?
«Questo suggerimento di Ovidio credo sia quanto mai attuale. I momenti dolorosi nella nostra vita sembrano sempre chiudere un qualcosa, ma in realtà poi aprono una porta. Dato che i dolori quotidiani che soffriamo sono tanti, trovare la forza di superarli è bello e utile».
James è introverso e solitario: abitare a New York non lo aiuta…
«New York è una città collettiva, non dà la possibilità agli individui di venir fuori, può generare il desiderio di emarginazione, di non partecipare a questa “orgia” di avvenimenti».
Tutti lo ritengono “strano”, ma James si rivela essere l’elemento più maturo della famiglia. Accade così anche nella realtà? E cosa significa essere “diverso” e “normale”?
«Penso che la diversità oggi sia soprattutto nella scala del potere: chi lo ha vede come diversi quelli che non ce l’hanno, perché in realtà non vuole che questi vi accedano. Anche nella famiglia avviene questo: il potere sta nei genitori, in particolare nella figura paterna; quando vedono che il figlio non si allinea ai loro valori iniziano a ipotizzare che sia un diverso, proprio come il nostro protagonista. La famiglia di James fotografa bene la condizione di tante famiglie: oggi i genitori, nella stragrande maggioranza dei casi, non sono in grado di assolvere al loro compito. Delegano ad altri l’educazione dei più giovani: peccato che questi altri si chiamino televisione, computer, media. La stessa cosa accade per gli insegnanti: anche loro hanno in gran parte abdicato alla loro funzione, non sono in grado di gestire le classi. Io penso che le persone adulte si trovino davanti a dei giovani così distanti dal loro ideale di mondo che alla fine non possono che diventare loro nemici. Non esiste detto più vero di quello di Gide: “Famiglia ti odio”, perché la famiglia oggi sta diventando il baluardo più conflittuale della società».
E questo cosa comporta?
«James è un ragazzo che rappresenta moltissimi adolescenti di oggi, che non hanno avuto delle guide - nel nostro caso l’unica parvenza di guida è sua nonna - non hanno idee chiare su quale possa essere il proprio futuro, e quindi sbandano. Credo però che nella loro anima ci sia comunque un tentativo di giustizia che non c’è più negli adulti».
James ama leggere e andare a teatro: attività che oggi vengono spesso etichettate come superflue…
«La cultura oggi è sicuramente uno dei motori più importanti per i giovani, anche se purtroppo viviamo in un mondo deculturizzato: la televisione, non per essere banale, è di una tale superficialità e incapacità di scavare nella realtà da diventare il più grande nemico della cultura di massa».
Quella di James è una storia di formazione, di ricerca della propria identità: secondo lei i ragazzi di questa generazione sono più forti o più deboli nel cercarla?
«Penso siano più deboli semplicemente perché sono più minacciati dall’esterno. C’è un attacco concentrico nei loro confronti, in particolare dai media e dal consumismo: diventa più difficile reagire, si è più fragili e deboli. Io penso che i ragazzi oggi conoscano anche inconsapevolmente il pericolo che viene dal mondo costruito dagli adulti. Un mondo in cui non si riconoscono e per cui, giustamente, si indignano».
Quindi non siamo una generazione di bamboccioni e sfigati…
«Assolutamente no. Ma dobbiamo anche fare i conti con quelli che io chiamo “evasori culturali”. Sono quelli che si possono permettere di stare anche dieci anni all’università – non parlo degli studenti lavoratori naturalmente. Il fatto che un corpo docenti, che un’amministrazione, che una comunità come l’università debba pagare cinque o sei anni in più di uno studente che non si laurea è un grosso onere per tutti noi».
Abbiamo parlato della televisione: e il cinema? Questo è un film girato negli States, ma com’è la situazione in Italia?
«Da noi a mio avviso c’è censura ed autocensura. Ormai in Italia per produrre un film si passa da un gruppo monopolista a un altro: non ci sono altre fonti di finanziamento in questo momento. Questo tipo di oligopolio comporta un figlio della censura forse anche peggiore, ovvero l’autocensura. Gli autori, sapendo che i propri film possono essere finanziati solo da pochissime aziende, non proporranno mai cose che possano contrastare la loro cultura. Questo limita moltissimo il cinema italiano, che oggi è diventato totalmente privo di coraggio».
Giovani più fragili, mondo deculturalizzato, il paese in crisi: quanto questo dolore un giorno ci sarà utile?
«Questo suggerimento di Ovidio credo sia quanto mai attuale. I momenti dolorosi nella nostra vita sembrano sempre chiudere un qualcosa, ma in realtà poi aprono una porta. Dato che i dolori quotidiani che soffriamo sono tanti, trovare la forza di superarli è bello e utile».
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Peter, Cameron, Un giorno questo dolore ti sarà utile, James, adolescenza, New York, solitudine, lettura
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