Cinema e Teatro
Lavoro. Torna l’impegno civile sul grande schermo
Anatomia di un fallimento
L’ultimo film di Montaldo racconta l’Italia della crisi con l’amara parabola di un imprenditore torinese assediato dai debiti e lasciato solo dalla moglie
Maddalena Messeri | 3 febbraio 2012
"Di crisi si muore” recita uno striscione che si è levato in alto in Piazza Montecitorio a Roma in occasione di una manifestazione di piccoli imprenditori. Una frase lapidaria che purtroppo corrisponde sempre più a verità: l’Eures ha stimato che nel 2009 in Italia c’è stato un suicidio al giorno per motivi legati alla sfera lavorativa. Disoccupati, cassintegrati, licenziati: la scure della recessione continua ad abbattersi sul nostro Paese lasciando dietro vittime e uno squilibrio sociale sempre più evidente. Ma il problema non è solo per chi perde il lavoro: nell’ultimo anno sono aumentati i suicidi dei piccoli imprenditori che, oppressi dai debiti contratti con le banche e dalle tasse, non sapendo più come portare avanti la propria azienda hanno gettato la spugna decidendo di togliersi la vita. È un tema scottante, che già difficilmente ottiene gli onori della cronaca, e ancora più raramente interessa altri media. Lodevole intento quello dell’ultimo film di Giuliano Montaldo, L’industriale che, con un’intensa interpretazione di Favino tenta di penetrare l’intimo di un imprenditore in crisi. Nicola Ranieri è proprietario di una fabbrica ereditata dal padre che cammina sull’orlo del fallimento: nonostante possa beneficiare dell’aiuto della ricca suocera, sceglie di fare tutto da solo provando a salvare la baracca. Al fallimento sul piano pubblico si va ad aggiungere quello nella sfera privata: la moglie (Carolina Crescentini) si allontana, ma lui non fa nulla per cercare un dialogo e ripiega su pedinamenti da uomo geloso.
Un tema civile raccontato dalla macchina da presa di Montaldo: «Ho iniziato a pensare a questo film tre, quattro anni fa, quando c’erano i primi sentori di questa crisi economica mondiale. Una cosa mi aveva colpito più delle altre: quei suicidi, quelle vite spezzate dei tanti imprenditori che, al laccio di strozzini e banche, avevano visto fallire le proprie aziende. Nel film il personaggio interpretato da Pierfrancesco si avvicina molto a loro: per lui, cresciuto in azienda, il fallimento sarebbe causa di un doppio dolore: non essere stato all’altezza del padre, e dover licenziare settanta famiglie, a cui tiene veramente. Nicola è affezionato ai suoi operai, quegli stessi compagni di lavoro che avevano aiutato suo padre ad avviare l’attività negli anni del boom economico», spiega il regista.
E di quanto il film si avvicini alla realtà si è avuto prova quando si è girata una scena all’interno di una fabbrica ancora in attività: in poco tempo si è sparsa la voce che fosse stata occupata e moltissimi operai di altre aziende sono accorsi sul posto pensando di trovare un nuovo stabilimento in difficoltà. I toni cupi di una tragedia personale e professionale si riflettono anche nelle scelte cromatiche della fotografia di Catinari: «Dopo aver finito la sceneggiatura ho deciso di girarlo quasi in bianco e nero proprio perché era così che lo immaginavo nella mia mente, non poteva essere diverso! Volevo che la storia, l’ambiente, riflettessero in qualche modo la crisi, economica e sentimentale, e devo dire che il grande Arnaldo Catinari c’è riuscito benissimo», continua Montaldo.
Nel cast anche Carolina Crescentini, che con il regista ha lavorato già ne I Demoni di San Pietroburgo, nel ruolo della moglie di Nicola ed Elena di Cioccio, che interpreta la sua amica.
L’attrice, “iena” e dj che ha definito questo film moderno, affascinante ed educativo, ha a che fare con un personaggio non facile: «Laura/Carolina viene da una famiglia ricca e non sa cosa significa guadagnarsi una posizione sociale elevata. La nostra è un’amicizia vera, ma il mio ruolo è da invidiosa, sopporto il caos emotivo di Laura, e lo vivo insieme a lei».
L’Industriale è un dramma che porta sul grande schermo un topos rovesciato, spostando l’attenzione dal lavoratore all’imprenditore. Peccato che l’attenzione del regista si soffermi progressivamente sulla dimensione privata indebolendo il contenuto critico. Un focus sulla politica spregiudicata delle banche e della finanza di questi tempi sarebbe stato più interessante.
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