Cinema e Teatro
Immigrazione fra i banchi
La mia classe non ha confini
Un modo originale di raccontare l’integrazione sui banchi, uno straordinario protagonista e tanti studenti con le loro storie vere: pensiamoci
Arianna Lax | 12 febbraio 2014
In un’epoca in cui i film appaiono sempre più stereotipati, accogliamo ancora con maggior piacere l'ultima fatica di Daniele Gaglianone, La mia classe, già presentato a Venezia e protagonista di una speciale serata al Cinema Mexico di Milano, di fronte a decine di fan. Ci si chiede “come mai tutta questa fatica per assistere alla proiezione”? La risposta è semplice: “È bello e particolare, una specie di mix tra film e documentario, un ibrido tra finzione e realtà, caratterizzato da più livelli narrativi. Un vero colpo di fulmine!” ci racconta Federica – 23 anni – uno dei tanti spettatori.
Azzeccata la scelta del regista, Daniele Gaglianone, nel proporre un film dalla struttura inusuale che racconta l’immigrazione e il tentativo di integrarsi in una società diversa dalla propria.
La mia classe parla di un gruppo di ragazzi – provenienti dalle più diverse parti del mondo – che giungono in Italia e cercano di imparare la nostra lingua, con l’obiettivo di integrarsi meglio nel Paese. È un film che va oltre la spettacolarità degli eventi proposta dai telegiornali che tendono spesso a mostrare solo il momento dell’arrivo con i barconi, ma non parlano mai di come si relazionano con un Paese sempre più scettico, impaurito e razzista.
Sul tipo di genere utilizzato – quello del “docu-fiction” – Gaglianone spiega così la sua scelta: «Mi dava la possibilità di affrontare il tema in un modo diverso dal solito, non solo per una questione estetica e formale, ma anche per trasmettere meglio ciò che volevo dire: ovvero, bisogna porsi in una prospettiva diversa rispetto a queste questioni e quindi far scivolare lo spettatore in un territorio che non conosce con certezza. Ho deciso di far incontrare le storie vere degli studenti, che stanno veramente imparando l'italiano, con un personaggio di finzione, quello del maestro, interpretato da Valerio Mastandrea».
Il personaggio cardine è infatti interpretato da un grande del nostro cinema italiano che riesce a coinvolgere ogni spettatore con il solo utilizzo del suo sguardo. Per quanto riguarda invece il resto del cast, formato dagli studenti, la scelta è avvenuta in un modo non ordinario e usuale, perchè «non è stato un vero e proprio casting, ma un incontro. Io andavo a vedere le lezioni in italiano sia nelle scuole serali, sia nelle associazioni culturali - ci racconta Gaglianone - I ragazzi erano entusiasti di partecipare a un film, ma anche perplessi perché forse nutrivano una certa dose di sospetto. Nonostante tutto, si è creato un bel gruppo e si frequentano ancora».
Il sospetto forse nasce dall'abitudinario trattamento che gli immigrati ricevono una volta entrati nel Paese: un comportamento scettico e sospettoso da parte degli italiani, che non li vedono di buon occhio. Ma questo non ferma i ragazzi protagonisti del film. «Amano questo Paese intriso di molte potenzialità, e pensano che potrebbero vivere molto meglio, ma sono amareggiati perché spesso gli italiani non amano le persone che ci vivono. Non parlo solo degli stranieri: l’Italia ormai non ama più il futuro, i suoi bambini, i giovani, la sua storia, quasi nulla insomma».

A TU PER TU CON VALERIO MASTANDREA

- Che emozioni hai provato nel recitare un duplice ruolo, visto che in questi film interpreti il maestro e l'attore dietro al personaggio?
È stato uno dei lavori più originali della mia vita, perchè il confine tra le due cose era sempre molto labile, in quanto ogni lezione era improvvisata e tutto quello che accadeva era praticamente inaspettato.
- Il regista sostiene che “La scelta dell'attore è nata con il film stesso, nel senso che solo Valerio poteva fare questo ruolo”: sei d'accordo?
(risata) No! Lo immagino come un complimento, ma insomma, no, no... i film poi sono di chi li fa, secondo me. Questa è una cosa che mi hanno insegnato quando ho cominciato. Daniele faceva un discorso riferito al caricarsi l'esperienza di un film del genere, ovvero che puoi farlo solo se c'è grande sintonia tra attore e regista: io con Daniele l’avevo.
- Parliamo del rapporto con i ragazzi: come è stato recitare con loro?
È stato bello aver davanti persone che non hanno mai recitato; è sempre una grande risorsa per un attore professionista perchè cogli degli entusiasmi che magari in 20 anni di carriera tu hai perso oppure hai messo dietro qualcos'altro, appunto dietro l'esperienza. È stato molto diverso dal solito, perché recitavamo e non recitavamo; è stato bello perchè erano in tanti e nessuno di loro aveva mai fatto l'attore, e per il tema del film che fa riflettere.
- Cosa è rimasto di questa esperienza ai ragazzi?
Spero che sia stata un'esperienza molto intensa perché si sono confrontati con persone che non avevano nessuna forma di voyeurismo nei confronti della loro storia. Penso che siano molto contenti di quello che hanno fatto, qualcuno si è veramente appassionato. Ho saputo anche che qualcuno di loro è già stato chiamato e ha recitato in un altro progetto. Infatti non vedo l'ora di sapere come è andata. Quando me l'hanno detto, ho pensato: “Ma come, questo già di carriera, subito. Ma come se permette?”
- I nostri lettori sono ragazzi adolescenti, anche coetanei dei protagonisti del film: perché consiglieresti di vedere questo film?
Questa è la domanda che mi fanno sempre quando si tratta di vedere un film. Mi permetto di dire che questo è un film che ti fa venire voglia di ragionarci sopra, di discutere, magari con la persona che ti accompagna a vederlo. Per me adesso è un momento un po' delicato, non ho grande fiducia e ottimismo nel cinema come strumento di approfondimento e di ricerca. Però mi sento di dire che con questo film un ultimo tentativo è stato fatto e spero che almeno serva per far chiacchierare un po'.
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