Il tesoro che non ti aspetti
Una sedia non fa la felicità
Carlo Mazzacurati firma prima di morire la sua ultima opera, “La sedia della felicità”, un on the road favolistico ai tempi della crisi, al cinema dal 24 aprile. A parlarcene è la protagonista, Isabella Ragonese
Redazione di Roma | 15 aprile 2014
Al centro della storia c’è un triangolo tutto particolare: un’estetista, un tatuatore e un prete. Come si evolve?
Lo strano assortimento di questo triangolo è proprio la parte bella del film: le vicende dei tre personaggi si intrecciano in maniera molto rocambolesca. Si tratta persone comuni, prese dai problemi della crisi economica, che si ritrovano coinvolte in un colpo di fortuna. A questo punto il film diventa una specie di on the road nel nord est dell’Italia.
Il viaggio è quindi un tema importante: simboleggia anche un percorso alla ricerca di se stessi?
Nel film si racconta molto chiaramente lo stato d’animo degli italiani di oggi, spesso così preoccupati di dover pagare le bollette a fine mese da lasciare poco spazio ai sentimenti. La difficoltà di sopravvivere ti fa perdere di vista l’essenza delle cose: ecco, il viaggio di questa storia permette ai protagonisti di ritrovarsi nelle emozioni; è un viaggio di formazione e di ricerca di sé.
Cosa ha di così “felice” la sedia del film?
I tre protagonisti vengono a sapere che c’è un tesoro nascosto in un’antica sedia, che fa però parte di un lotto venduto all’asta: bisogna quindi scoprire quale sia la sedia giusta. Alla fine i tre scopriranno che il tesoro non è esattamente di carattere economico, ma che ha in realtà un significato più profondo, qualcosa che ha a che fare con la solidarietà.
Marco Mazzocca, Milena Vukotic e tanti altri: ci sono molti camei in questo film. Qual è il loro ruolo?
Carlo (Mazzacurati, ndr) come sempre ha posto grande attenzione nel disegnare schizzi di personaggi che vengono subito descritti, come in un bozzetto. I personaggi che i protagonisti incontrano sono un po’ sopra le righe: sono loro a far scattare la commedia. E come in una normale commedia l’intento primario è quello di far ridere, ma in un senso diverso: la qualità dei film di Carlo è la leggerezza.
Quindi si sorride e si riflette…
Sì, anche se secondo me un film non deve avere per forza un messaggio su cui far riflettere: lo spettatore che lo vede deve prendere quello che c’è, poi la riflessione è una cosa personale, che nasce dall’occhio di chi guarda.
Nelle note di regia leggiamo: “Nonostante tutto si sentono nell’aria l’energia e la voglia di riscatto”. Sei d’accordo?
Indubbiamente l’ambientazione racconta molto in questo film: il Veneto è sempre stato un esempio di produttività e benessere per l’Italia. Paradossalmente la crisi si sente più qui, dove nessuno ci ha fatto l’abitudine. Nel film, però, la voglia di riscatto non viene dal lavoro: anzi, c’è la convinzione che anche se si lavora bene a fine mese non ci si arriva. L’energia nasce dal colpo di fortuna: ma un Paese che si basa sui colpi di fortuna, forse, si deve fare qualche domanda.
Il film ha qualche tratto grottesco?
No, non è un termine che assocerei a Carlo, che guardava i suoi personaggi sempre con grande affetto; anche quelli più negativi, pieni di difetti, vengono raccontati con molta onestà. Il film mi fa più pensare alle favole: non è un caso se proprio Carlo, parlando del mio personaggio, mi diceva: “Bruna ricorda i personaggi dei cartoni animati di Miyazaki”. Lo sguardo che sottende alle vicende è quasi quello di un bambino, che ha un occhio puro e vero allo stesso tempo.
E la favola ha il lieto fine?
Per scoprirlo andate a vedere il film! Nel frattempo posso dirvi che quando uscirete dal cinema avrete dentro di voi un mix di gioia e dolcezza.
Qual è stato il rapporto con il tuo personaggio?
Bruna è un’estetista che ha un negozio in un centro commerciale e si trova in difficoltà economiche. È un personaggio molto realistico, ma al tempo stesso dà l’idea del cartone animato, è molto colorato, molto vivo, nonostante la crisi. Nel recitarlo mi sentivo dentro a una vignetta, a un fumetto: è un personaggio cui sono rimasta molto affezionata, così come lo era Carlo.
A questo proposito: un’immagine con cui ti piace ricordare Mazzacurati…
È una persona che è stato bellissimo incontrare, mi sembrava di conoscerlo da sempre anche dopo poco tempo. Mi piaceva perché ti ascoltava: sembra una cosa banale ma non lo è. Molto spesso ti sembra di parlare da solo con gli altri, lui invece era sempre presente. Era fuori dal comune, un po’ nel suo mondo, dove però ti accoglieva con facilità.
Tu possiedi una sedia della felicità?
Come nel film ognuno ha fatto vari tentativi prima di trovare la sedia giusta, così io continuo a fare il mio lavoro, avendo sempre la curiosità di andare avanti e trovare il film della vita. In realtà, però, poi ti rendi conto che piuttosto che trovare la sedia giusta è stato molto più interessante il viaggio che hai fatto per cercarla.
Lo strano assortimento di questo triangolo è proprio la parte bella del film: le vicende dei tre personaggi si intrecciano in maniera molto rocambolesca. Si tratta persone comuni, prese dai problemi della crisi economica, che si ritrovano coinvolte in un colpo di fortuna. A questo punto il film diventa una specie di on the road nel nord est dell’Italia.
Il viaggio è quindi un tema importante: simboleggia anche un percorso alla ricerca di se stessi?
Nel film si racconta molto chiaramente lo stato d’animo degli italiani di oggi, spesso così preoccupati di dover pagare le bollette a fine mese da lasciare poco spazio ai sentimenti. La difficoltà di sopravvivere ti fa perdere di vista l’essenza delle cose: ecco, il viaggio di questa storia permette ai protagonisti di ritrovarsi nelle emozioni; è un viaggio di formazione e di ricerca di sé.
Cosa ha di così “felice” la sedia del film?
I tre protagonisti vengono a sapere che c’è un tesoro nascosto in un’antica sedia, che fa però parte di un lotto venduto all’asta: bisogna quindi scoprire quale sia la sedia giusta. Alla fine i tre scopriranno che il tesoro non è esattamente di carattere economico, ma che ha in realtà un significato più profondo, qualcosa che ha a che fare con la solidarietà.
Marco Mazzocca, Milena Vukotic e tanti altri: ci sono molti camei in questo film. Qual è il loro ruolo?
Carlo (Mazzacurati, ndr) come sempre ha posto grande attenzione nel disegnare schizzi di personaggi che vengono subito descritti, come in un bozzetto. I personaggi che i protagonisti incontrano sono un po’ sopra le righe: sono loro a far scattare la commedia. E come in una normale commedia l’intento primario è quello di far ridere, ma in un senso diverso: la qualità dei film di Carlo è la leggerezza.
Quindi si sorride e si riflette…
Sì, anche se secondo me un film non deve avere per forza un messaggio su cui far riflettere: lo spettatore che lo vede deve prendere quello che c’è, poi la riflessione è una cosa personale, che nasce dall’occhio di chi guarda.
Nelle note di regia leggiamo: “Nonostante tutto si sentono nell’aria l’energia e la voglia di riscatto”. Sei d’accordo?
Indubbiamente l’ambientazione racconta molto in questo film: il Veneto è sempre stato un esempio di produttività e benessere per l’Italia. Paradossalmente la crisi si sente più qui, dove nessuno ci ha fatto l’abitudine. Nel film, però, la voglia di riscatto non viene dal lavoro: anzi, c’è la convinzione che anche se si lavora bene a fine mese non ci si arriva. L’energia nasce dal colpo di fortuna: ma un Paese che si basa sui colpi di fortuna, forse, si deve fare qualche domanda.
Il film ha qualche tratto grottesco?
No, non è un termine che assocerei a Carlo, che guardava i suoi personaggi sempre con grande affetto; anche quelli più negativi, pieni di difetti, vengono raccontati con molta onestà. Il film mi fa più pensare alle favole: non è un caso se proprio Carlo, parlando del mio personaggio, mi diceva: “Bruna ricorda i personaggi dei cartoni animati di Miyazaki”. Lo sguardo che sottende alle vicende è quasi quello di un bambino, che ha un occhio puro e vero allo stesso tempo.
E la favola ha il lieto fine?
Per scoprirlo andate a vedere il film! Nel frattempo posso dirvi che quando uscirete dal cinema avrete dentro di voi un mix di gioia e dolcezza.
Qual è stato il rapporto con il tuo personaggio?
Bruna è un’estetista che ha un negozio in un centro commerciale e si trova in difficoltà economiche. È un personaggio molto realistico, ma al tempo stesso dà l’idea del cartone animato, è molto colorato, molto vivo, nonostante la crisi. Nel recitarlo mi sentivo dentro a una vignetta, a un fumetto: è un personaggio cui sono rimasta molto affezionata, così come lo era Carlo.
A questo proposito: un’immagine con cui ti piace ricordare Mazzacurati…
È una persona che è stato bellissimo incontrare, mi sembrava di conoscerlo da sempre anche dopo poco tempo. Mi piaceva perché ti ascoltava: sembra una cosa banale ma non lo è. Molto spesso ti sembra di parlare da solo con gli altri, lui invece era sempre presente. Era fuori dal comune, un po’ nel suo mondo, dove però ti accoglieva con facilità.
Tu possiedi una sedia della felicità?
Come nel film ognuno ha fatto vari tentativi prima di trovare la sedia giusta, così io continuo a fare il mio lavoro, avendo sempre la curiosità di andare avanti e trovare il film della vita. In realtà, però, poi ti rendi conto che piuttosto che trovare la sedia giusta è stato molto più interessante il viaggio che hai fatto per cercarla.
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carlo mazzacurati, Isabella ragonese, valerio mastandrea, cinema, italiano, film, La sedia della felicità
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