Contaminazioni
La resistenza è donna
Al Teatro Duse dal 25 al 30 novembre 2014, “Le Troiane. Frammenti di Tragedia” porta sul palcoscenico il dolore di quattro donne, quattro archetipi femminili senza età, da Euripide ai giorni nostri. Ce le racconta Andromaca, intepretata da Mariangeles T
Jessica Graciotti | 6 novembre 2014
Siete un collettivo di donne e per questo spettacolo avete fatto tutto voi! Come vi siete incontrate?
Siamo quattro attrici diplomate tutte all’Accademia nazionale di arte drammatica; ci siamo messe insieme nel 2006 per trovare altre modalità di approccio a questo mestiere, approfondendo tutte le tematiche femminili. Ci siamo rese conto che anche nel teatro la drammaturgia ci ha sempre lasciato personaggi femminili soggiogati alla figure maschili: la madre di, la moglie di. È raro trovare donne che parlano di matematica, filosofia, potere. Noi abbiamo voluto quindi interpretare la drammaturgia da un altro punto di vista.
Perché avete scelto Le Troiane?
Ci interessava il tema delle donne e della guerra, purtroppo molto attuale. Euripide fu il primo a raccontare la guerra in maniera rivoluzionaria: se tu pensi a Troia pensi agli eroi, ad Achille; l’Iliade è quasi un canto bello della guerra. Invece con Euripide l’attenzione si sposta sugli sconfitti, deportati come bottino di guerra.
Il testo che portate in scena, però, è contaminato con Seneca, Ovidio, Sartre: come si conciliano fra loro?
Nella tragedia euripidea, le quattro donne Ecuba, Andromaca, Cassandra ed Elena non si incontrano mai. A noi interessava farle interagire e così abbiamo mescolato varie suggestioni. Ad esempio, di Sartre alcuni monologhi ci sono sembrati più attuali, il discorso di Elena era più poetico in Ovidio, Seneca aveva in parte sostituito la figura del messaggero Taltibio, che noi abbiamo fatto assorbire completamente in Elena. Insomma, il lavoro più grosso è stato sulla drammaturgia.
Quindi anche il coro, che ha un ruolo fondamentale nella tragedia greca, è stato assorbito?
Sì. Abbiamo inserito due momenti cantati, in cui abbiamo costruito un nostro coro, e un inno di Troia nella scena del funerale di Astianatte (il figlio di Andromaca, ndr). In questo senso è stata molto preziosa la collaborazione con Francesco Santalucia che, oltre a creare questi momenti cantati ha realizzato un’ambientazione sonora potentissima, fatta di suggestioni, rumori, voci maschili che riempiono la scena e creano il senso di prigionia.
La scenografia è quindi minimale…
Esatto. La scenografia di Mauro De Santis prevede un grande tavolo su cui sono posizionati stracci, che rappresentano i corpi che non ci sono più, la distruzione, la civiltà che svanisce. Questo fa da sfondo alla cella ideale in cui le quattro donne sono rinchiuse e convivono.
Ecuba, Andromaca, Cassandra ed Elena: quattro modi diversi di vivere il dolore?
Assolutamente sì. Ecuba è la grande madre, ma in quanto moglie di Priamo incarna anche lo Stato. Il suo dolore è il dolore di tutti. Andromaca è forse il personaggio un po’ più umano, che vuole tenere per sé il suo dolore e non accetta il destino cui è stata sottoposta. Cassandra ci piace immaginarla come una kamikaze, una che sa perfettamente cosa le accadrà e lo affronta. Elena è il personaggio più ambiguo: è sì un po’ opportunista, ma in realtà è stata uno strumento. Non è lei la vera causa della guerra, come oggi molte guerre non avvengono per i motivi dichiarati.
Quanto è importante il rapporto con il pubblico?
Fondamentale. Quando porti in scena uno spettacolo del genere, così intenso emotivamente, il feedback degli spettatori è importantissimo. Per noi è un rito.
Cosa vorreste che questo spettacolo lasciasse alle giovani spettatrici?
La bellezza della resistenza. Le donne hanno questa capacità, questo senso di sopravvivenza che le spinge a superare i momenti più difficili. E vorrei che tutte ci riflettessimo.
Siamo quattro attrici diplomate tutte all’Accademia nazionale di arte drammatica; ci siamo messe insieme nel 2006 per trovare altre modalità di approccio a questo mestiere, approfondendo tutte le tematiche femminili. Ci siamo rese conto che anche nel teatro la drammaturgia ci ha sempre lasciato personaggi femminili soggiogati alla figure maschili: la madre di, la moglie di. È raro trovare donne che parlano di matematica, filosofia, potere. Noi abbiamo voluto quindi interpretare la drammaturgia da un altro punto di vista.
Perché avete scelto Le Troiane?
Ci interessava il tema delle donne e della guerra, purtroppo molto attuale. Euripide fu il primo a raccontare la guerra in maniera rivoluzionaria: se tu pensi a Troia pensi agli eroi, ad Achille; l’Iliade è quasi un canto bello della guerra. Invece con Euripide l’attenzione si sposta sugli sconfitti, deportati come bottino di guerra.
Il testo che portate in scena, però, è contaminato con Seneca, Ovidio, Sartre: come si conciliano fra loro?
Nella tragedia euripidea, le quattro donne Ecuba, Andromaca, Cassandra ed Elena non si incontrano mai. A noi interessava farle interagire e così abbiamo mescolato varie suggestioni. Ad esempio, di Sartre alcuni monologhi ci sono sembrati più attuali, il discorso di Elena era più poetico in Ovidio, Seneca aveva in parte sostituito la figura del messaggero Taltibio, che noi abbiamo fatto assorbire completamente in Elena. Insomma, il lavoro più grosso è stato sulla drammaturgia.
Quindi anche il coro, che ha un ruolo fondamentale nella tragedia greca, è stato assorbito?
Sì. Abbiamo inserito due momenti cantati, in cui abbiamo costruito un nostro coro, e un inno di Troia nella scena del funerale di Astianatte (il figlio di Andromaca, ndr). In questo senso è stata molto preziosa la collaborazione con Francesco Santalucia che, oltre a creare questi momenti cantati ha realizzato un’ambientazione sonora potentissima, fatta di suggestioni, rumori, voci maschili che riempiono la scena e creano il senso di prigionia.
La scenografia è quindi minimale…
Esatto. La scenografia di Mauro De Santis prevede un grande tavolo su cui sono posizionati stracci, che rappresentano i corpi che non ci sono più, la distruzione, la civiltà che svanisce. Questo fa da sfondo alla cella ideale in cui le quattro donne sono rinchiuse e convivono.
Ecuba, Andromaca, Cassandra ed Elena: quattro modi diversi di vivere il dolore?
Assolutamente sì. Ecuba è la grande madre, ma in quanto moglie di Priamo incarna anche lo Stato. Il suo dolore è il dolore di tutti. Andromaca è forse il personaggio un po’ più umano, che vuole tenere per sé il suo dolore e non accetta il destino cui è stata sottoposta. Cassandra ci piace immaginarla come una kamikaze, una che sa perfettamente cosa le accadrà e lo affronta. Elena è il personaggio più ambiguo: è sì un po’ opportunista, ma in realtà è stata uno strumento. Non è lei la vera causa della guerra, come oggi molte guerre non avvengono per i motivi dichiarati.
Quanto è importante il rapporto con il pubblico?
Fondamentale. Quando porti in scena uno spettacolo del genere, così intenso emotivamente, il feedback degli spettatori è importantissimo. Per noi è un rito.
Cosa vorreste che questo spettacolo lasciasse alle giovani spettatrici?
La bellezza della resistenza. Le donne hanno questa capacità, questo senso di sopravvivenza che le spinge a superare i momenti più difficili. E vorrei che tutte ci riflettessimo.
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