Cagliari. Molo sabaudo. Da più di un anno una nave marocchina è ormeggiata e al suo interno vivono 15 uomini, che hanno deliberatamente occupato l’imbarcazione per una controversia con l’armatore. Comincia così l’ultimo film di Peter Marcias La nostra quarantena, con Francesca Neri e Moisè Curia, e mette subito sul tavolo temi forti e quanto mai attuali: il lavoro, i diritti, l’integrazione e la solidarietà. La storia è un fatto di cronaca realmente accaduto: nel maggio 2013 approda nel porto di Cagliari Kenza, una nave mercantile marocchina. Rimarrà lì per due anni: l’equipaggio della nave decide di occuparla e vivere lì per protestare contro la mancata retribuzione.
La situazione si era sbloccata con l’arrivo di un nuovo equipaggio per permettere ai 15 marocchini di tornare in patria e liberarsi da quella prigionia auto inflitta. La nave però nel frattempo è stata sequestrata, e solo lo scorso agosto è potuta salpare per tornare in Marocco. «Siamo partiti da questa vicenda – spiega Moisè Curia, protagonista del film – andando a intervistare i lavoratori in sciopero: il film inizia quindi come un documentario». Curia interpreta Salvatore, uno studente universitario che, spinto dalla sua professoressa – Francesca Neri – decide di fare una ricerca sui quindici marocchini che hanno scelto di “mettersi in quarantena”, costretti a una mossa forte per sensibilizzare al loro problema. Dovranno aspettare un anno, e nel frattempo sono senza soldi e abbandonati sulla nave. Commenta il regista Peter Marcias: «Su quella nave la città di Cagliari sembra lontana, il mondo solo un’ombra fugace. L’unica vera realtà è il tempo, un tempo che scorre incessante ed impietoso, che assiste alla rappresentazione di un piccolo dramma che simboleggia il dramma universale del lavoro». Salvatore incontra i prigionieri di questo tempo e rimane profondamente colpito dalle condizioni in cui vivono. Spiega Moisé: «A questi uomini è tolta la dignità. Nessuno si preoccupa delle loro condizioni di sopravvivenza. Questo scuote molto Salvatore, che si chiede quale futuro ci sia per lui, se i diritti possono essere così barbaramente calpestati».
Dai quindici marinai Salvatore impara l’importanza di far valere i propri diritti, e decide di dar loro voce con la sua ricerca. “Siamo qui bloccati da otto mesi e senza il nostro stipendio – dice uno dei lavoratori – L’unica cosa che pretendo da questo sciopero è veder affermare i miei diritti. Non abbiamo scioperato per andare contro il padrone, ma per far sì che i nostri diritti siano rispettati”. La cronaca ci ha raccontato l’esito della vicenda; nel film questo incontro cambierà per sempre Salvatore, che finisce per immedesimarsi in quei racconti, in quelle storie, in quei volti.
“Qual è il futuro di noi giovani?”, si chiede lo studente universitario che vede davanti a sé l’età adulta e non sa se l’Italia sia il posto giusto per realizzare i propri sogni e per tutelarli.
«Per preparare il personaggio abbiamo intervistato anche molti ragazzi mentre eravamo lì a Cagliari. Tutti avevano un sogno: chi di sfondare nella musica, chi nel calcio, chi nella ricerca scientifica.Tutti sapevano che andando via forse sarebbero riusciti a realizzarlo prima. Ma alcuni mi dicevano: ‘se tutti vanno via, allora non cambierà mai nulla’. Io non ho ancora una risposta. Sicuramente dobbiamo cambiare il nostro punto di vista e avere una percezione realistica di ciò che ci circonda come finito, limitato. È come quando al mare guardi la luna sorgere: la vedi tante volte e la dai per scontata, non pensando che invece non è per sempre. Le circostanze all’improvviso cambiano, e magari ti renndi conto che hai tante cose da fare e non ne hai il tempo». Sognatore e introverso come il personaggio che interpreta, Moisè Curia spera che questo film migliori se stesso e gli altri, convinto che attraverso il cinema si possano ancora veicolare messaggi importanti. «Dopo La nostra quarantena sarò al cinema con Abbraccialo per me, un fim di Vittorio Sindoni che affronta il delicato tema della disabilità mentale. Non mi piace fare film tanto per farli, vorrei che avessero sempre un obiettivo di sensibilizzazione e che in qualche modo possano migliorare l’Italia».
Un obiettivo che Curia condivide con il regista Peter Marcias: «Con Peter ci siamo trovati subito in sintonia. Mi piace il suo modo di raccontare la realtà. Durante le prove ci diceva sempre: ‘Non raccontate qualcosa che si può vedere in una fiction, ma qualcosa in cui la gente si rispecchi’. Lui in questo è un grande maestro». Ma per “migliorare l’Italia”, come dice Moisè, serve un cambiamento culturale: «Ci ostiniamo a vivere di quello che abbiamo perché abbiamo paura del nuovo, del diverso. E allora accumuliamo il certo, e ne vogliamo sempre di più. Ma la scatola per contenerlo non cambia. E se è troppo piena tutto si rovescia a terra e ne pagheremo le conseguenze. L’antidoto? Studiate sempre ragazzi: è l’unica cosa che nobilita l’uomo. E poi, tenetevi stretti i sogni».