Il più delle volte mi capitava a tavola con i miei genitori. Sentivo i loro sguardi su di me, si chiedevano se stessi mangiando. Io giocherellavo con la forchetta, muovevo il cibo da una parte all’altra del piatto, ma non mangiavo mai niente>>. A parlare è la mia amica A, con ancora negli occhi gli ultimi fotogrammi di My Skinny sister, film svedese presentato al Sottodiciotto Film Festival e reduce dal Festival Internazionale del Cinema di Berlino. Come si può facilmente intuire dal titolo, la pellicola ha per tema le ‘‘malattie del benessere’’, cioè l’anoressia e la bulimia nervosa, due patologie molto diffuse anche nel nostro Paese. Secondo le ultime stime, infatti, a soffrirne è il 15% degli adolescenti italiani tra i 16 e i 20 anni, e si sviluppa in famiglia, soprattutto in stati di trascuratezza emotiva. È proprio la vorticosa escalation della malattia ad essere documentata dal lungometraggio di Sanna Lenken. Una malattia che non ha colpevoli, ma anzi, il più delle volte fa sentire colpevoli le proprie vittime.
Le giovani protagoniste del film sono due sorelle: Katjia (Amy Deasismont), pattinatrice su ghiaccio semi professionista in costante allenamento, e Stella (Rebecka Josephson), sorellina minore, impacciata e un po’ sovrappeso.
Katjia, però, nasconde un segreto. È anoressica e l’unica persona ad essere a conoscenza del suo disagio è proprio Stella, la sua più grande ammiratrice. L’ammirazione che prova la piccola Stella per Katjia, dovrà, però, fare i conti con il rischio di vederla morire a causa degli eccessivi allenamenti e della malnutrizione. La piccola vorrebbe dirlo ai genitori, ma Katja la costringe a mantenere il segreto, trascinandola in una spirale di bugie e manipolazioni.
Il film ci pone di fronte a un dilemma, rappresentato dalla situazione di Stella: “come possiamo aiutare una persona a cui vogliamo bene, che soffre di questa malattia, senza perdere la sua amicizia?’’. Stella troverà la soluzione, ma solo dopo tante difficoltà e grandi sofferenze emotive. <<L’anoressia è una malattia che si sviluppa in famiglia, senza essere del tutto colpa della famiglia - commenta il dottor Amianto, psichiatra specializzato in disturbi del comportamento alimentare - è una patologia tipica della società occidentale, un forte urlo accusatorio verso la trascuratezza di cui i ragazzi si sentono oggetto>>. È la trascuratezza, quindi, ad innescare la miccia.
Una trascuratezza che diventa un’eccessiva presenza delle figure genitoriali quando queste si rendono conto della grave situazione in corso. Ma, purtroppo, in questi momenti, è proprio la loro presenza a farsi soffocante e ad aggravare il sintomo.
A si commuove quando parla della sua esperienza da anoressica, mi spiega che: <<è un vortice. Più cerchi di non mangiare, meno hai fame e più dimagrisci. Avendo raggiunto il risultato sperato, cioè dimagrire, ti convinci di star facendo bene. Ricordo che spesso, durante le lezioni a scuola, andavo in bagno per guardarmi le ossa. Mi faceva stare meglio, mi faceva passare l’ansia>>.
E come la storia della mia amica, così arriva diretto il film: un viaggio realistico nella vita e nella mente degli anoressici. Per comprendere le reali necessità di chi soffre di questa malattia e conoscere i mezzi attraverso il quale esprimono il dolore, cioè il proprio corpo.