Il film, proseguimento di Smetto quando voglio, riprende dal carcere dove Pietro Zinni interpretato da Edoardo Leo sta scontando la pena per associazione a delinquere e banda armata, anche se tra un flashback e un’anticipazione si capisce subito che la storia non è proprio così: la banda dei ricercatori è stata ingaggiata dalla polizia, o meglio, dall’ispettrice Coletti per agire nell’ombra e stanare trenta nuove droghe legali in cambio della fedina penale pulita.
Pietro accetta e la banda è di nuovo completo: il neurobiologo, il chimico computazionale, l’antropologo, l’archeologo, l’economista e i latinisti si rimettono in gioco alla ricerca delle formule di queste nuove smart drugs.
La novità principale è l’aggiunta di tre nuovi personaggi ripescati da Zinni in giro per il mondo: un esperto in diritto canonico che esercita al Vaticano, un anatomista teorico che partecipa a dei combattimenti clandestini a Bangkok e un ingegnere meccatronico, signore della guerra lowcost in Nigeria.
“Per questi ricercatori in esilio - commenta il regista Sydney Sibilia - la società ha trovato un nome drammaticamente poetico: cervelli in fuga. Questa categoria era stata ignorata nel primo film, e il secondo capitolo della saga volevo parlasse anche di loro, una specie di dedica. Dico “anche” perché in effetti Smetto Quando Voglio – Masterclass parla di un sacco di cose, che ho voluto raccontare con il mio sguardo: i tempi in cui viviamo, il fatto che a volte non ci si prende abbastanza cura di alcune intelligenze, la voglia di riscatto”.
La rappresentazione dell’Italia tra una risata e l’altra è evidente: è un Paese in cui spazio per le eccellenze non c’è. Se riecheggiano nella nostra mente le parole del primo film dell’antropologo interpretato da Sermonti che definiva la laurea come “un errore di gioventù” di cui era profondamente consapevole, il secondo film spalanca le porte sulla realtà tragicomica che caratterizza il nostro Paese che non fa uscire indenne nessun laureato, nemmeno il più rinomato chimico computazionale. Il film è ambientato in una splendida Roma, antica e moderna al tempo stesso, rappresentata in tutte le sue contraddizioni. Emblematica è la scelta di un cantiere della metro C, chiuso dall’archeologo per dei ritrovamenti, come base delle operazioni. Tra una vicenda rocambolesca e l’altra emerge quanto il far parte di una banda abbia dato ai protagonisti, frustrati dalla vita universitaria, una nuova ragion d’essere che valorizza al meglio le conoscenze acquisite sebbene in qualità di criminali. Il film è il secondo di una trilogia ma non per questo risulta di minor successo del primo né l’aggiunta di più personaggi pregiudica il risultato. La disomogeneità dovuta alla difficile presenza di tutti i personaggi della banda nella stessa scena crea simpatici siparietti di breve durata che culminano nella riuscitissima scena dell’inseguimento del treno. Senza svelare più del necessario, la banda, alla ricerca dei produttori dell’ultima smart drug, dà il meglio di sé in una sequenza davvero esilarante tipica di questa action comedy, in cui lo spettatore a stento sarà in grado di trattenere le lacrime.
Il risultato è, se possibile, ancora più convincente del primo film, sebbene per un epilogo dovremo attendere (ansiosamente) Smetto quando voglio - Ad honorem.