Premio alla carriera alla Festa del cinema di Roma, Martin Scorsese ha rivelato i nove capolavori del cinema italiano che più hanno influenzato il suo stile in un incontro con il pubblico, tra le mura dell'Auditorium capitolino. Un incontro di quasi due ore - presenti tra gli altri Tornatore, Piovani, Ferretti e Lo Schiavo - in cui il newyorkese ha tenuto una vera e propria lezione di storia sul neorealismo italiano e non solo.
- Accattone, di Pier Paolo Pasolini. "Lo vidi per la prima volta al New York Film Festival del 1964 e fu un'esperienza visiva potentissima. Un lampo. Riuscii subito a identificarmi nei personaggi della trama, essendo io cresciuto in un quartiere molto duro. È sempre difficile parlare di Pasolini, s'è scritto molto di lui e io ho letto tutto il possibile. Ma all'epoca non sapevo chi fosse, eppure capivo perfettamente i suoi personaggi".
- La presa del potere da parte di Luigi XIV, di Roberto Rossellini. "Da piccolo avevo un apparecchio televisivo a casa che trasmetteva tanti capolavori del neorealismo italiano. Tra questi, ovviamente, c'erano i lavori di Rossellini. Un uomo che, insieme a Vittorio De Sica, ha rivoluzionato il cinema. Roberto ha capito il valore del mezzo e ha iniziato a girare opere didattiche per il piccolo schermo, anche su argomenti storici. Questo fu il primo di una lunga serie".
- Umberto D di Vittorio De Sica. "Straordinario. Racconta di un uomo anziano, solo e ignorato dalla gente, che vive per strada ha bisogno di mangiare. Per farlo chiede aiuto al suo cane. Non è un'opera sentimentale, anzi è cruda. Tramite la storia di questo vecchio De Sica racconta i cambiamenti della società. Questo è uno dei film che più hanno influenzato la mia formazione di regista".
- Il posto, di Ermanno Olmi. "È un film speciale per me. Il distributore americano della pellicola scelse le migliori sale di New York per mostrarlo gratuitamente in città, solo per il primo giorno. Di Olmi esistono anche altre opere sottovalutate, tra cui I fidanzati. Il suo stile si avvicina molto a quello che negli anni ho assunto io, un po' sottomesso e scarno, quasi documentaristico".
- L'eclisse, di Michelangelo Antonioni. "Ho avuto la fortuna di vivere l'era d'oro del cinema, concentrandomi sull'osservazione dell'inquadratura anche per un lungo periodo. Le opere di Antonioni mi hanno donato l'opportunità di comprendere appieno l'utilizzo dello spazio e della luce dietro la camera da presa. Uno studio quasi analitico. L'avventura, L'eclisse e La notte sono due esempi di quanto il suo cinema fosse alienazione allo stato puro e assenza di spirito, nel suo modo rivoluzionario di fare narrativa".
- Divorzio all'italiana, di Pietro Germi. "Mi sono ispirato a questo film per girare Goodfellas. Il suo stile, l'umorismo e l'arguzia hanno influenzato la mia crescita da regista. Un'altra opera che racconta una storia nella sua più assoluta verità. Senza dimenticare l'uso della macchina da presa, straordinario".
- Salvatore Giuliano, di Francesco Rosi. "È difficile parlare di questo film. Non avevo mai visto nulla di simile prima, in America non si mostrano così le emozioni. Qui c'è una vera e propria esplosione di sentimenti. Sono opere che mi hanno cambiato la vita ogni volta, a ogni visione. Rosi dimostra i fatti, eppure spesso non rappresentano la verità. Il suo è un meridione appesantito dalla povertà e dalla diffidenza nei confronti delle istituzioni".
- Il Gattopardo, di Luchino Visconti. "Visconti ha pesantemente influenzato L'età dell'innocenza. La scelta di inquadrare un bicchiere, studiata nei suoi particolari, è figlia dal suo cinema. Il microcosmo che, pian piano, raggiunge il macrocosmo cinematografico. È un melodramma senza vincoli, che racconta un profondo passaggio del tempo tra tradizione e apparente innovazione".
- Le Notti di Cabiria, di Federico Fellini. "Ho visto più volte Fellini, anche sul set di Città delle donne. Ho avuto l'occasione di scrivere un documentario su di lui per la Universal, ma sfortunatamente ci ha lasciato nel cuore del progetto".