Quindici anni senza Alberto Sordi, quindici anni senza il suo brio, la sua ironia, la sua comicità. Quindici anni che a noi romani sono sembrati un secolo per i tanti cambiamenti che sono occorsi da quando Albertone ci ha detto addio, lasciando un vuoto incolmabile nella nostra identità di inguaribili e splendid provinciali. Quindici anni e un Paese in cui la classe dirigente è degenerata, al punto che oggi l'arcitaliano che Sordi ha sempre rappresentato e canzonato nei suoi film si è fatto protagonista della politica, privandola della sua imprescindibile funzione di guida. Quindici anni in cui la stessa Roma è degradata, al punto che oggi viviamo in una città abbandonata a se stessa, incattivita, in cui i quartieri si sono spenti e i cittadini si sentono soli di fronte alle difficoltà del vivere quotidiano. Quindici anni in cui tutto si è imborghesito, imbellettato, vestito inutilmente a festa, fino a diventare falso, senz'anima, senza prospettive, senza identità, senza dignità, senza valori, come una tempesta di qualunquismo che si abbatte sulla nostra società e finisce con lo sfigurarla. Quindici anni e la convinzione che ad Albertone questa tristissima realtà contemporanea non sarebbe piaciuta affatto, così come non gli sarebbe piaciuta alcuna forma di volgarità, di barbarie, di eccesso, come non gli sarebbe piaciuto il fascismo di ritorno, come non gli sarebbe piaciuto questo mondo dello spettacolo sempre meno genuino e sempre più artefatto, come non gli sarebbero piaciuti quei registi che mirano unicamente al profitto anziché alla qualità del prodotto. E non è un caso se questo declino, apparentemente inarrestabile eppure da contrastare con tutte le forze, sia iniziato nel momento in cui grandi personalità del mondo della cultura e del cinema come Gassman, Sordi, Manfredi e Scola se ne sono andate, privandoci di una generazione che aveva conosciuto la guerra, la disperazione e l'orrore che ogni conflitto reca con sé, dunque sapeva trasformare il proprio nobile lavoro in un antidoto alla deriva ignorante che negli ultimi anni ha dilagato senza requie.
Si è detto tutto di Albertone: i suoi film, la sua passione civile, le sue battaglie, la sua notorietà, le sue battute; non c'è niente da aggiungere. Ciò che, forse, non si è mai detto abbastanza è che se c'era un personaggio distante anni luce dallo stereotipo dell'italiano medio, questi era proprio lui. Per questo lo rendeva così bene: perché lo stigmatizzava con la dovuta ironia. Per questo senza di lui è venuta meno una certa idea d'Italia, una certa idea di libertà, di critica e d'espressione, una certa capacità di castigare ridendo i nostri malvezzi, la nostra mancanza di senso dello Stato e la nostra incapacità di fare fronte comune, e di esaltare tuttavia la caratteristica più bella che ci accomuna: il saper essere grandi nei momenti difficili. Penso a "La grande guerra" di Mario Monicelli e vedo il vero volto di Sordi: lì non recitava, lì era davvero lui, in quell'atto di ribellione finale che costa la vita al suo personaggio ma contribuisce a riscattare la dignità della Nazione. Grazie Albertone, sei stato il ritratto dell'Italia: nel bene e nel male.