Sette anni fa, Bologna. Sei donne fondano CHEAP: un festival, un'associazione, un movimento, un progetto, un'idea. Tutto ciò che riesce a sposare attivismo e arte, prodotto visivo e intenzione. Quello che CHEAP vuole offrire è uno sguardo dichiaratamente “non obiettivo”, una presa di posizione netta e necessaria in un periodo storico dove non ci si schiera o lo si fa in modo passivo. Perché un'opera d'arte, antica o moderna che sia, porta sempre con sé un messaggio che va spesso oltre le intenzioni dell'artista: anche il più disinteressato e commerciale dei prodotti artistici incarna il contesto storico, culturale e politico in cui viene concepito. CHEAP sta andando oltre, lo dimostra chiaramente il loro ultimo progetto: La lotta è FICA. A partire dal mese di giugno, nel centro pulsante di Bologna (Via Indipendenza) sono stati installati 25 poster il cui obiettivo è quello di “rappresentare il femminismo intersezionale, antirazzista, body e sex positive”. A realizzarli, 25 artiste, ciascuna legata a diverse aree del mondo artistico. Questa pluralità di esperienze, iscritte tutte in una grande narrazione urbana, arricchiscono e consolidano un immaginario che finalmente riesce a trovare il suo spazio (non senza difficoltà). CHEAP non si limita ad evidenziare le contraddittorietà di questo mondo contemporaneo, ancora diviso tra privilegio e povertà, tra odio e comprensione, ma riesce anche a edificare, a costruire nuovi simboli e nuovi punti di riferimento. Questi poster parlano: la loro voce è una sveglia, una sonora (e visiva) presa di coscienza.
Il confronto con le menti alla base del progetto è stato decisivo, perché ha testimoniato la totale coerenza tra chi organizza, chi “agisce” e l'opera finale. Una coerenza viva, ricca di diversità armonizzate; lo spettro in scala di quello che la nostra società dovrebbe essere.
25 poster, 25 artiste, 25 messaggi diversi. Quanto è importante mantenere una pluralità di punti di vista all'interno di uno stesso movimento? E cosa pensate di quelle correnti di femminismo estremo (mi riferisco a quello, ad esempio, portato avanti dalle TERF) che "deviano" dalla forte carica egualitaria del femminismo?
Nei poster sono rappresentate le lotte femministe che intersecano l'antirazzismo, trova fisicità lo sguardo queer sui generi, entrano i corpi delle donne, corpi trans e corpi eccentrici. Un divertissement femminista su poster per il quale sono state chiamate a raccolta 25 artiste: illustratrici, grafiche, fotografe, perfomer, fumettiste, streetartist – una pluralità di media che corrisponde ad un vasto campionario di biografie e visioni, unite dalle prospettive del transfemminismo.
Questa eterogeneità è una scelta curatoriale molto precisa. Il femminismo che pratichiamo è fortemente connesso ad un una visione dei generi che esula dalla binarietà: temo che questo sia un passaggio che a volte manca nel percorso di alcune – e sottolineo alcune – femministe. Le persone trans fanno favolosamente parte delle nostre vite, non sono delle entità mitologiche e esotiche: sono nostre colleghe, partner, amanti, amiche, compagne. L'idea di doverle alienare dal femminismo è semplicemente inaccettabile: pensare che la sorellanza si basi sul dato biologico è la vera alienazione.
Per quanto riguarda le TERF, cito volentieri l'attivista transfemminista Antonia Caruso: “Le terf sono una minoranza. sembrano forti perché sono apertamente controverse, hanno spesso posizioni di rilievo nell'istruzione, nel giornalismo, così come nel terzo settore. Si autonominano radicali e in effetti sono radicali ma non per un discorso di liberazione e rispetto dell'autodeterminazione di ogni persona, in particolare le donne trans. Sono radicali nel mantenere in maniere violenta e testarda solamente le loro posizioni.”
Di recente si è discusso molto riguardo ai simboli di un passato che ormai non possiamo più accettare in modo acritico e in cui non troviamo più identificazione totale: compreso questo, come si può essere costruttivi? Come edificare, in pratica, nuovi simboli? Credete che iniziative come La lotta è Fica lo faccia già?
Stiamo finalmente assistendo ad un cambiamento del paradigma. A Bristol, la statua dello schiavista Edward Colston è stata rimossa e buttata nel fiume; negli Stati Uniti varie statue di Cristoforo Colombo sono state rimosse. A Milano si è affermato una cosa che noi troviamo di una banalità sconcertante, cioè che uno stupratore non merita una statua e attraverso di essa una celebrazione pubblica: eppure abbiamo assistito ad una levata di scudi agghiacciante in difesa di un suprematista bianco che parlava della sua schiava bambina come di un “animaletto docile”.
Non siamo certe che la difesa del privilegio bianco maschile e coloniale si fermerà alla schiera dei bimbi di Montanelli che si stanno stracciando le vesti, argomentando che lo “stupro va contestualizzato”. Temiamo invece che non solo assisteremo a scene indegne del genere ogni qualvolta un simbolo dell'oppressione verrà contestato ma che le stessa situazione si ripeterà quando cercheremo di produrre un immaginario critico in opposizione a quello sopra citato.
CHEAP oggi produce un intervento di arte pubblica che parla di femminismo, della connessione del potere sistemico nel generare funzionalmente sessismo e razzismo, della necessità di elaborare strumenti di decolonizzazione, di rappresentare corpi che orgogliosamente esulano dalla bianchezza o dall'eteronormatività o dalla visione binaria del genere: nonostante sia evidente che ci siano molte resistenze all'idea di eliminare i simboli del privilegio, pensiamo che sia ora che si facciano i conti anche con quelli della nostra liberazione.
"Cultura pop" , "cultura camp" , "cultura punk" e chi più ne ha più ne metta. Quali sono le vostre fonti di ispirazione (tanto nell'agire quanto nel pensare alle varie iniziative) e soprattutto a cosa puntate? Pensate possa esistere in futuro (o anche ora) una "cultura femminista", o sarebbe invece più giusto parlare di aspirare ad una società genuinamente femminista, cioè giusta ed uguale, pronta a supportare tanto le esigenze femminili quanto quelle maschili, liberandosi di stereotipi e concezioni tossiche che danneggiano entrambi?
Il nostro ipertesto di riferimento spazia dalle perfoming arts ai fumetti. Se oggi dovessimo dire chi è un punto di riferimento ed hanno influito sulla nostra pratica e sulle energie che attraversano il nostro progetto, penso che i nomi sarebbero tre.
Le Guerrilla Girls, di cui abbiamo curato nel 2017 il loro primo intervento nello spazio pubblico in Italia: è evidente che abbiano fatto scuola per approccio e metodo, oltre che aprire la strada ad una critica puntuale sulla questione del gender gap all'interno del sistema dell'arte.
Tania Bruguera, ospite nel 2019 a Bologna della biennale Atlas of Transitions, dove ha realizzato un intervento tra arte pubblica e arte partecipata che sviscerava i temi della migrazione e dei confini: insieme a lei,nelle strade di Bologna abbiamo posto una domanda da cui non c'è scampo, I confini uccidono: dovremmo abolirli?
Adesso pensiamo a Kara Walker perché porta avanti un percorso straordinario sulla blackness, percorso che lavora su altre pesantissime eredità coloniali e sui residui del suprematismo bianco.
Una cultura femminista esiste già: rispetto all'idea di un'arte che possa drsi femminista, ci ritroviamo molto nelle parole di Ilenia Caleo quando descrive la prospettiva di un pensiero delle pratiche che destabilizzi il canone, attraverso strategie di decolonizzazione, pratiche controculturali, “geografie posizionali” e nuove epistemologie.
Parafrasando bell hooks, l'arte pubblica è anche un luogo di lotta.