È capitato almeno una volta nella vita a tutte le donne di entrare in una stanza piena di uomini e sentirsi inadeguate, di avere la sensazione di essere sottovalutate o giudicate, probabilmente solo per il fatto di portare gonna e tacchi. Ricordare ogni tanto l'articolo 3 della Costituzione italiana è sempre cosa buona e giusta; per chi si fosse addormentato alla lezione di educazione civica si ricorda che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinione politica, condizioni personali e sociali. La domanda che sorge spontanea è: perché nel ventunesimo si fa ancora fatica a raggiungere questi obiettivi? E sembra che ci vorrà ancora qualche anno, per la precisione 135, per colmare questo divario, secondo il rapporto del WEF (World Economic Forum).
In ambito lavorativo
A tal proposito, l’ONU ha posto come quinto obiettivo il raggiungimento dell'uguaglianza di genere e dell'emancipazione femminile, processo che deve sicuramente passare attraverso l'eliminazione delle violenze e l'affermazione dei diritti. In Italia, il gap principale emerge in ambito lavorativo, dove il tasso di occupazione femminile, già basso, non è certo stato aiutato dalla pandemia. Fra le persone che hanno perso il lavoro a dicembre, circa il 98% sono donne, ovvero 99mila rispetto a 2mila uomini. Il divario, inoltre, è ben visibile economicamente, soprattutto quando ci si riferisce allo stipendio. Si parla infatti di gender pay gap, quando a parità di mansione c’è differenza fra la busta paga di lui e quella di lei. Contratti e leggi sono uguali per tutti, ma nel corso della carriera ci sono vicissitudini che sembrano lasciare indietro le donne. Alcuni dati LinkedIn affermano infatti che, nonostante le politiche family friendly, il prezzo da pagare per un lavoro flessibile include l’essere viste meno dedite al lavoro o la mancanza di promozioni. Sembra anche che le donne sentano la necessità di soddisfare il 53% delle competenze utili a candidarsi per un lavoro, mentre al genere maschile basta il 49%. Insomma, almeno per i prossimi 135 anni, pare che le donne debbano sudare un po’ di più per fare carriera.
La sedia mancata di Ursula von der Leyen
Le difficoltà non mancano anche ai piani alti: infatti, qualche giorno fa, in un incontro ufficiale fra Unione Europea e Governo Turco, alla quale erano presenti il presidente del consiglio europeo Charles Michel, il presidente turco Erdogan e la presidente della commissione europea Ursula Von Der Leyen, quest'ultima è rimasta senza posto a sedere. Erdogan e Michel si sono velocemente assicurati i loro posti nelle due uniche sedie presenti, lasciando la presidente in piedi al centro della sala. La posizione dei posti a sedere è fondamentale in situazioni come queste, è immagine di ciò che si ricaverà dall’incontro. Questo porta a pensare che il tutto sia stato fatto apposta, quasi a lasciare Von Der Leyen fuori dalle discussioni. Il ‘grado’ di Ursula è inferiore a quello del presidente Michel, ma in occasioni ufficiali, come queste, i due spesso viaggiano assieme e vengono ritenuti di pari importanza, anche solo per il fatto che il compito della presidente è molto più esecutivo. In ogni caso, il posto di Von Der Leyen era sulla sedia delle trattative, e non su un qualunque divanetto.
Anche casi positivi
Anche se le note positive di questa lotta per l'uguaglianza non mancano, basti pensare a Kamala Harris, prima vicepresidente donna degli Stati Uniti d’America, certo è che siamo ancora ben lontani dalla vittoria. Monito di questa battaglia resta sempre indirizzato alle donne: insegnate ai vostri figli cosa è il rispetto dando l’esempio e l’autonomia domestica affinché un domani la donna possa avere le stesse priorità lavorative che ad oggi caratterizzano quasi esclusivamente gli uomini.