Leggendo un quotidiano e prestando attenzione si può notare chiaramente la differenza con la quale vengono trattate le notizie incentrate sugli uomini e quelle sulle donne. Un maschilismo implicito nella lingua e nella descrizione, di cui si deve prendere consapevolezza affinché si superi e, anche nella lingua, si lotti per la parità.
Caso Amundi
Valèrie Baudson, dal 10 maggio 2021, è la nuova amministratrice delegata del colosso francese Aumundi, una società di asset management. È particolarmente interessante notare come le più grandi testate giornalistiche riportino la notizia evidenziando il fatto che l’azienda abbia cambiato CEO, ma focalizzandosi primariamente sul fatto che il nuovo ruolo si assegnato ad una donna.
“La Repubblica” esordisce dicendo “Una donna diventa la numero uno dell'asset manager francese, uno dei più grandi al mondo. La scalata rosa ai vertici della finanza mondiale sempre più agguerrita”. Ne “Il Sole 24 Ore” leggiamo invece “La svolta verde e rosa di Amundi: leader negli investimenti Esg, una donna nuovo ceo”. Il caso Amundi, però, non è solo un esempio di discriminazione giornalistica, esso rappresenta anche uno dei tantissimi e attualissimi casi di divario salariale presumibilmente dovuto al sesso. La Baudson, infatti, guadagna il 33% in meno rispetto a quanto guadagnava il suo predecessore Yves Perrier. Differenza netta di salario basata su una reale variazione di rendita, o solo su uno stereotipo sessista?
Caso Sanremo
Sanremo 2021. Beatrice Venezi scende le scale dell’Ariston e Amadeus la presenta come “direttore d’orchestra”, specificando che la declinazione al maschile sia scelta e anzi, rivendicata con orgoglio dalla talentuosa trentunenne lucchese. Basta questo gesto, apparentemente innocuo, a scatenare una serie di e polemiche a catena: attacchi, rivendicazioni delle professioni femminili, un caso di studio perfetto per l’analisi delle discriminazioni linguistiche. Il motivo addotto al “chiamatemi direttore” da Venezi è dato dal fatto che “La posizione, il mestiere ha un nome preciso e nel mio caso è quello di direttore d’orchestra”, tirando in ballo la retorica del "si è sempre fatto così", suscitando l’approvazione dei conservatori da un lato, e la rivolta di chi ha fatto notare che si è sempre chiamato così perché un tempo alle donne non era permesso arrivare a uno status come quello di direttrice d’orchestra dall’altro. Questo evento di cronaca leggera porta con sé, come tutte le cose che sembrano fare notizia solo perché orbitanti intorno all’universo Sanremo, una vera e propria battaglia linguistica che, se in televisione suscita comunque lo schieramento del dibattito pubblico, rimane, in campo giornalistico, passibile di ignavia, o, peggio ancora, di essere bollata semplicisticamente come un capriccio da femminista estrema.
La donna a caso
Basta così poco però per verificare che la narrazione delle scienziate, delle sindache e delle personalità più influenti è differente dalla corrispettiva maschile. Come fa notare ad esempio Michela Murgia nel suo ultimo libro Stai zitta, è facile che un’austronauta che ha dei figli venga subito etichettata come “astromamma”, che Katalin Karikò, studiosa dei vaccini a Rna contro il Covid, venga additata come “madre del vaccino” cosa che non accade mai coi corrispettivi uomini. In una narrazione probabilmente figlia dell’ “ossessione della mammizzazione” di cui parla Murgia, ci si aspetta sempre e comunque che la donna, anche in posizioni sociali prestigiose, eserciti la funzione della cura, della mestizia e dell’accondiscendenza, bollata altrimenti come isterica, aggressiva o bacchettona.
Nei titoli giornalistici che parlano di donne è costantemente rilevabile una sorta di ostracismo o di ridimensionamento femminile, come fa ben notare un progetto nato su Instagram, quello de @Ladonnacaso, che raccoglie un grande corpus di articoli online e fisici, pieni di cognomi e nomi di donne omessi, relegando incredibili scoperte scientifiche, successi e conquiste sociali al genere, infilando una sfilza si “una donna a capo di…” e simili uno dopo l’altro.
Speranza paritaria
Accanto alla tendenza descritta sopra, si sviluppa però sempre più una consapevolezza nuova, con la nascita di volumi che spiegano le ragioni storiche e il maschilismo insito nella lingua, come il manuale della sociolinguista Vera Gheno, Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole, che promuove una rideterminazione del femminile e un impegno a pareggiare i nomi di mestieri anticamente declinati solo al maschile per ragioni di privilegio più che di merito. Più in generale, è una dimostrazione di come la lingua, seppure strumento quotidiano e come tale incredibilmente democratica, sia uno specchio della società in cui viviamo, ma soprattutto una potenziale arma di cambiamento; è in corso una vera e propria rieducazione all’uso paritario della lingua.
Il caso Venezi si inserisce quindi all’interno di una cornice di difesa delle stesse idee patriarcali che l’hanno resa l’eccezione in un mondo di uomini, ma la speranza è che in futuro ci si possa professare, con lo stesso orgoglio, o forse addirittura maggiore, direttrici d’orchestra, con la consapevolezza di aver fatto un passo in avanti in una lotta per la parità che ha fatto tanta strada, ma che tanta ancora ne ha da fare.