Interviste
Tempi moderni. Dacia Maraini: messaggio speciale per le giovani donne
Non siate nemiche di voi stesse
Passano gli anni, ma secondo la scrittrice non cambiano le preoccupazioni e gli umori dei giovani che, forse, si preparano a un nuovo Sessantotto. E alle ragazze dice che...
Riccardo Cotumaccio, 19 anni | 7 novembre 2011
I giovani “indignados” hanno tutte le ragioni per esserlo. Per esempio per il fatto che le generazioni precedenti hanno accumulato debiti che poi sono ricaduti sulla loro testa, ma anche perché la produzione è passata dal lavoro alla finanza; per i tagli sulla scuola, sulla ricerca, su tutto ciò che occorre per rinnovare e dare spazio alle nuove generazioni. Quindi hanno ragione. Poi naturalmente sono contraria a qualsiasi violenza: quello che hanno fatto i black bloc è stato vergognoso e ha nuociuto molto agli indignados. Questo movimento appena nato ha qualcosa in comune col Sessantotto: la rabbia giovanile e la diffusione in tutto il mondo, innanzitutto, perché il Sessantotto ha avuto questo di particolare, la nascita di movimenti spontanei contemporaneamente in America, in Cina, in Europa. E un altro elemento in comune è il fatto di non riconoscere un leader, sono in entrambi i casi movimenti di tipo collegiale che partono dal basso. Oggi poi c’è Internet, che è una grossa fonte di democrazia, naturalmente se usato bene, altrimenti rischia di diventare anche disordine, anarchia e confusione. Lo scambio di idee in rete può essere molto utile, lo abbiamo visto con i Paesi dell’Africa del Nord. Prima esisteva un solo giornale che esprimeva il pensiero unico del dittatore, Internet ha permesso alla gente di confrontare le opinioni, i sentimenti di scontentezza, di fare progetti per il futuro, allearsi, pensare in termini di cambiamento.

Il malessere è lo stesso
Credo che nei giovani di tutte le generazioni ci sia sempre un elemento comune: si affacciano al mondo e attraversano un passaggio delicato, dalla protezione dei genitori e della scuola al mondo, un mondo brutale dove devono affrontare la competizione, la difficoltà, la violenza. È un momento difficile per tutti i giovani e lo è sempre stato. In Cina hanno da poco tradotto L’età del malessere, che ho scritto nel ’63. perché, mi hanno spiegato, il tema di questo libro è sempre di grande attualità. Io non sono d’accordo con chi definisce “bamboccioni” i ragazzi di oggi. Lo trovo un discorso razzista, paternalistico. Ci sono alcuni che non hanno voglia di fare, certo, ma ci sono sempre stati. Io vado spesso nelle scuole a parlare con gli studenti e li trovo straordinari e vogliosi di agire. Certo oggi la scuola va avanti per la buona volontà degli insegnanti - non tutti, ma una gran parte - che sono preparati e fanno il loro lavoro con entusiasmo, nonostante siano pagati poco e screditati. Quando loro danno il buon esempio, i ragazzi rispondono in modo straordinario. Ci sono classi meravigliose con studenti pieni di voglia di fare e poi ci sono scuole che vanno alla deriva, dove gli insegnanti sembra che vadano a timbrare il cartellino. Molti istituti sono in condizioni catastrofiche anche fisicamente; gli ultimi tagli poi sono stati disastrosi, hanno tolto gli insegnanti di sostegno, messo anche 40 ragazzi in un’unica classe. E tutto questo non aiuta certo a formare buoni cittadini.

Raddrizzare la politica delle curve
Generalizzare è sempre sbagliato. Le ragazze di oggi non sono certo tutte ciniche e senza scrupoli, come quelle che vendono il proprio corpo per avere successo. Ce ne sono tante, le vedo tutti i giorni, anche nelle scuole, che pur essendo bellissime escono in jeans e maglione, studiano e si preparano per il futuro senza pensare certo di vendersi. Sono la maggioranza, le altre sono soprattutto quelle meno istruite e determinate. Chi vende il proprio corpo per avere successo sbaglia, non per una questione moralistica, semplicemente poi si troverà con un pugno di mosche: per ottenere qualcosa dalla vita, si deve approfondire una competenza, studiando, imparando un mestiere, è solo il lavoro a rendere liberi; ritrovarsi in mano qualche centinaio di migliaia di euro può darti un’euforia di libertà, ma alla fine ti rende schiava. Le donne che puntano a questo finiscono per non avere nulla e quando arriveranno a rimproverarsi il loro cinismo, si ritroveranno nemiche di se stesse. Ma ci sono anche uomini che si vendono, lo abbiamo visto anche in questi giorni: si scambiano persino posti di sottosegretario per un voto. Quello che manca in Italia è la meritocrazia, se ci fosse, scomparirebbe questa idea di politica fatta con le forme e con il sesso.

Emancipate, ma non troppo
Per quanto riguarda l’emancipazione femminile in Italia siamo indietro rispetto agli altri Paesi europei. Magari non sulla carta, perché abbiamo una buona legislazione, ma nella realtà è così, lo confermano anche le statistiche dell’Onu. Tutto il lavoro casalingo e familiare ricade ancora sulle donne, spesso costrette a rinunciare ad un impiego esterno (che ora in realtà trovano poco anche quando lo cercano). Non c’è una buona distribuzione del lavoro e inoltre i guadagni per il sesso femminile sono inferiori al 20% rispetto agli uomini. Certo, ci sono Paesi dove la situazione è ben più grave, dove si rischia la vita anche solo per chiedere il diritto di guidare l’automobile o si viene lapidate per adulterio. Ma in tempi di globalizzazione, il mondo ce l’abbiamo in casa. Pensiamo ad Hina, uccisa dal padre e dai fratelli qui da noi. Non si può parlare di emancipazione di un solo Paese, bisogna pensare in termini universali. Ho scritto un testo proprio sulla violenza subita dalle donne. Si intitola Passi affrettati e riporta casi di cronaca di donne picchiate o uccise da tutto il mondo. Nonostante l’emancipazione e le conquiste legali degli ultimi anni, è ancora un fenomeno trasversale e molto presente. C’è ancora tanto, tanto da fare.

Lo spettacolo
Dacia scrive “Per Giulia”
Giulia Carnevale è morta a L’Aquila, uccisa dal sisma. Voleva andarsene, ma gli esperti avevano assicurato che non c’erano pericoli. Ora viene ricordata tra le tante giovani vittime del terribile terremoto. Dacia Maraini la ricorda a modo suo, immortalando la sua storia – raccontatale personalmente dai genitori della ragazza - in un testo teatrale. Si intitola Per Giulia ed è proprio Giulia a “parlare”, rivolgendosi in prima persona ai vivi; “ma non è affatto lugubre – precisa la scrittrice – ho voluto solo far pensare alla continuità, al rapporto che lega i vivi e i morti”. L’opera, messa in scena con successo al Cinema-Teatro di Isola del Liri, varcherà presto i confini nazionali, con una rappresentazione che si terrà il 27 marzo a Dublino.
Commenti