LORELLA ZANARDO CI SPIEGA PERCHÉ È IMPORTANTE L’EDUCAZIONE AI MEDIA
Una questione di consapevolezza
LORELLA ZANARDO CI SPIEGA PERCHÉ È IMPORTANTE L’EDUCAZIONE AI MEDIA
Luca Pizzimenti | 14 aprile 2014
Selfie-mania: ricerca di autostima o di popolarità? È principalmente affermazione della propria esistenza. In questo mondo sovraffollato di immagini il rischio è sentire che non si esiste: mi fotografo in continuazione per trovare anche io un posto fra internet, smartphone, tv. Sembra quasi che se non appari non esisti.
Qual è il rischio? Non bisogna demonizzare questi fenomeni, ma invitare alla riflessione. La caratteristica della maggior parte dei selfie è che non rappresentano la persona: sono tragicamente uguali, sorriso e testa leggermente reclinata. È come se inconsciamente ci si dicesse: quella è l’immagine che si vuole di me. Recentemente ho pubblicato una foto che mi ha scattato una giovane fotografa e alcuni mi hanno detto: “Ma tu che sei fotogenica, perché hai pubblicato una foto in cui sei venuta brutta?”. In realtà non mi sentivo brutta, perché invece ero molto io. Ecco: invece di pubblicare un’immagine che non serve a nulla, scattiamone una che racconti di noi.
Lei porta avanti un progetto importante nelle scuole, “Nuovi occhi per i media”: ce ne parla? Quando è uscito il documentario Il corpo delle donne, abbiamo ricevuto tantissime richieste di studenti e docenti che ci chiedevano strumenti per decodificare i media. Abbiamo quindi messo in piedi un progetto di media education: come si insegna a leggere e scrivere, così c’è bisogno di un’alfabetizzazione alle immagini. I ragazzi devono sapere che non è il nudo ad offendere, ma l’occhio della telecamera. Michelangelo non metteva le mutande alle statue, mentre le telecamere fanno un terribile lavoro di oggettivazione. Esserne consapevoli ci rende meno manipolabili.
Sono sempre di più le donne che ricorrono alla chirurgia estetica prima dei 30 anni: secondo lei c’è una correlazione con i selfie? Il fenomeno dei selfie non è che l’ultimo sistema di pressione. Le donne hanno sempre avuto dei modelli: prima imposti dalle riviste, poi dalla tv; adesso ci sono migliaia di input, siamo bombardati di modelli che sono molto impositivi. Riuscire a dire “non me ne curo” di fronte a tutto questo è difficile.
Cosa è cambiato in termini di consapevolezza da quando è uscito il documentario Il corpo delle donne? C’è sicuramente molta più consapevolezza, ma a macchia di leopardo. Moltissimi docenti sono stati encomiabili, organizzando corsi per i propri alunni. Questo produce miracoli, perché agendo su quella fascia d’età anche solo un incontro di due ore cambia lo sguardo sulle cose. C’è però a mio avviso una grande mancanza del ministero dell’istruzione, che si dovrebbe fare carico di organizzare corsi di educazione ai media. In un Paese come l’Italia, dove la televisione ha uno strapotere, è inaccettabile che non si sia intervenuti in maniera puntuale su questo tema.
Lei è stata annoverata tra le 150 donne più coraggiose del mondo: quali sono gli atti di coraggio quotidiani nella vita di una donna? L’atto più coraggioso è proprio rimanere in contatto con se stesse: essere adolescente femmina in Italia è il lavoro più faticoso che ci sia. Bisogna riuscire a mantenere il contatto con il sé nonostante gli attacchi a 360°: ci vogliono coraggio e determinazione. L’altro, a pari merito, è dire no. Nella società del consenso le battaglie, quelle vere, non godono mai approvazione nel mentre, solo alla fine. Quindi il coraggio è dire dei grandi no, essere magari impopolari, ma sicure della meta.
Qual è il rischio? Non bisogna demonizzare questi fenomeni, ma invitare alla riflessione. La caratteristica della maggior parte dei selfie è che non rappresentano la persona: sono tragicamente uguali, sorriso e testa leggermente reclinata. È come se inconsciamente ci si dicesse: quella è l’immagine che si vuole di me. Recentemente ho pubblicato una foto che mi ha scattato una giovane fotografa e alcuni mi hanno detto: “Ma tu che sei fotogenica, perché hai pubblicato una foto in cui sei venuta brutta?”. In realtà non mi sentivo brutta, perché invece ero molto io. Ecco: invece di pubblicare un’immagine che non serve a nulla, scattiamone una che racconti di noi.
Lei porta avanti un progetto importante nelle scuole, “Nuovi occhi per i media”: ce ne parla? Quando è uscito il documentario Il corpo delle donne, abbiamo ricevuto tantissime richieste di studenti e docenti che ci chiedevano strumenti per decodificare i media. Abbiamo quindi messo in piedi un progetto di media education: come si insegna a leggere e scrivere, così c’è bisogno di un’alfabetizzazione alle immagini. I ragazzi devono sapere che non è il nudo ad offendere, ma l’occhio della telecamera. Michelangelo non metteva le mutande alle statue, mentre le telecamere fanno un terribile lavoro di oggettivazione. Esserne consapevoli ci rende meno manipolabili.
Sono sempre di più le donne che ricorrono alla chirurgia estetica prima dei 30 anni: secondo lei c’è una correlazione con i selfie? Il fenomeno dei selfie non è che l’ultimo sistema di pressione. Le donne hanno sempre avuto dei modelli: prima imposti dalle riviste, poi dalla tv; adesso ci sono migliaia di input, siamo bombardati di modelli che sono molto impositivi. Riuscire a dire “non me ne curo” di fronte a tutto questo è difficile.
Cosa è cambiato in termini di consapevolezza da quando è uscito il documentario Il corpo delle donne? C’è sicuramente molta più consapevolezza, ma a macchia di leopardo. Moltissimi docenti sono stati encomiabili, organizzando corsi per i propri alunni. Questo produce miracoli, perché agendo su quella fascia d’età anche solo un incontro di due ore cambia lo sguardo sulle cose. C’è però a mio avviso una grande mancanza del ministero dell’istruzione, che si dovrebbe fare carico di organizzare corsi di educazione ai media. In un Paese come l’Italia, dove la televisione ha uno strapotere, è inaccettabile che non si sia intervenuti in maniera puntuale su questo tema.
Lei è stata annoverata tra le 150 donne più coraggiose del mondo: quali sono gli atti di coraggio quotidiani nella vita di una donna? L’atto più coraggioso è proprio rimanere in contatto con se stesse: essere adolescente femmina in Italia è il lavoro più faticoso che ci sia. Bisogna riuscire a mantenere il contatto con il sé nonostante gli attacchi a 360°: ci vogliono coraggio e determinazione. L’altro, a pari merito, è dire no. Nella società del consenso le battaglie, quelle vere, non godono mai approvazione nel mentre, solo alla fine. Quindi il coraggio è dire dei grandi no, essere magari impopolari, ma sicure della meta.
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