Manuel Rinaldi e il suo “10 Minuti”
Chiara Colasanti | 13 gennaio 2015
Come ti descriveresti come artista a qualcuno che non ha mai sentito la tua musica?
Questa è una bella domanda, diciamo che Manuel Rinaldi è un cantautore che dice le cose in faccia, così come stanno, senza giri di parole, provocando un po' grazie all'ironia. Diciamo che rispecchia completamente quello che sono io: credo che oggi sia doveroso dare alla gente la verità delle cose, in maniera interessante, senza fare della finta retorica. Dal punto di vista delle sonorità che propongo mi rifaccio sempre a una base rock che è il mio background e a cui faccio riferimento.
Qualche aneddoto “dietro le quinte” diciamo della nascita di “Dieci minuti” e come sei arrivato a scegliere proprio questi dieci brani del disco?
L'album arriva dopo un periodo di difficoltà artistica: ho passato un periodo un po' così, dal 2009, quando è uscito un mio singolo con sonorità pop dance, che non mi appartenevano (mi ero fatto tentare da una produzione sperimentale che non era nelle mie corde!). Da lì ho avuto un momento in cui devi affilare la matita per scrivere la tua storia e capire quale sia la tua direzione. Dovevo riflettere su quale fosse la mia strada, sono andato in Inghilterra e lì mi si sono aperte sia le orecchie che gli occhi: ad un certo punto, sono rientrato in Italia per scrivere il mio album. Una volta tornato ho cominciato a scrivere queste canzoni che sono nate in una maniera così naturale che ne sono rimasto quasi sconvolto. Nello stesso tempo ha collaborato con me una persona totalmente estranea all'ambiente musicale: succede a volte che i musicisti, gli artisti, i produttori, sono talmente fossilizzati a volte su determinati clichés o tecnicismi, che perdono di vista le cose fondamentali come arrivare alla gente o la reazione degli ascoltatori. Avevo bisogno di una persona completamente esterna a questo scenario e così ho chiesto ad un mio caro amico, con il dono di scrivere le cose in maniera davvero interessante se avesse voglia di collaborare con me. Lui mi ha mandato delle cose che scriveva e sono diventate delle canzoni, collaborando come autore, alla creazione di questo album. Ma non è l'unica collaborazione presente nell'album: c'è anche il bassista dei Rio, Fabio Ferraboschi, che è anche un bravissimo autore (ha scritto “Invisibili” il brano che Cristiano De Andrè ha portato a Sanremo) che ha lavorato con me alla produzione artistica di questo album. Con lui c'è stata una fusione ideale perché ho trovato davvero quello che volevo. C'è poi anche Cris Maramotti, ex chitarrista di Piero Pelù che ha suonato le chitarre all'interno del disco... ci sono state una serie di collaborazioni importanti e così è venuto fuori, come volevo io, senza filtri!
A proposito dell'esperienza a Brighton, nell'album si sente l'influenza del Brit sound: quanto e come ti ha influenzato a livello personale? Consiglieresti l'esperienza all'estero?
L'esperienza di Brighton per me è stata fondamentale e rimpiango di non averla fatta prima, sia dal punto di vista di crescita personale (ti catapulta in una cultura molto diversa dalla nostra!) che dal punto di vista artistico (non ci sono clichés: ci sono le possibilità di fare)! Mi sono trovato a poter suonare in locali, senza che nessuno mi conoscesse e senza che nessuno mi giudicasse a priori, della serie “non sei nessuno, non ti posso far suonare!”... sai, in Italia, o fai cover o devi avere una fanbase di un certo tipo, altrimenti i locali non ti fanno suonare o ti fanno suonare per una birra e un panino! Trovarsi lì, dove ti accorgi di poter fare quello che ti piace fare... comincia a diventare un pochino eccitante la cosa! Se uno può, quindi secondo me, l'esperienza la deve assolutamente fare! Poi dico anche di tornare nel nostro Paese perché c'è bisogno di accrescere là il proprio bagaglio di esperienze da portare poi qui! Dal punto di vista sonoro ho potuto conoscere artisti che non conoscevo, entrando in negozi che mandavano playlist che noi non sappiamo nemmeno cosa siano, tra un po': con Shazam scopri chi sono e poi vai ad approfondire! Oppure entri in un pub e trovi un gruppo che suona... insomma, di occasioni e spunti se ne trovano parecchi! Se qualcuno deve fare un'esperienza all'estero, comunque, che la faccia immediatamente, senza perdere tempo!
C'è una domanda che nessuno ti ha mai fatto durante le interviste e a cui vorresti rispondere per poter parlare di un argomento che hai a cuore?
Questa ad esempio, è una domanda che nessuno mi ha mai fatto ed è una bella domanda!
Allora, io ho fatto un disco senza ascoltare nessuno: non ho fatto una canzone perché doveva passare per radio o perché me l'ha detto qualcuno... ho fatto un disco come volevo io, bene. Mi piacerebbe parlare della musica in Italia, ma non parliamo solo degli artisti che sono nella top ten delle classifiche o non parliamo solo dei reality o dei talent. Parliamo di un sottosuolo, che sta venendo fuori, di musica indipendente che forse è più lo specchio della realtà! Mi piacerebbe parlare di una cultura diversa, perché siamo un po' troppo strumentalizzati dai media, che vanno sempre presi molto con le pinze! Molte volte non si parla di queste cose perché si risulta scomodi, ma a me piacerebbe molto far vedere questa realtà ai non addetti ai lavori! Loro vedono la classifica, vedono quelli in televisione e non sanno bene tutto quello che c'è dietro! Mi piacerebbe poter parlare maggiormente di quello che è il reale stato della musica italiana adesso... ma ci sarà modo, forse!
Questa è una bella domanda, diciamo che Manuel Rinaldi è un cantautore che dice le cose in faccia, così come stanno, senza giri di parole, provocando un po' grazie all'ironia. Diciamo che rispecchia completamente quello che sono io: credo che oggi sia doveroso dare alla gente la verità delle cose, in maniera interessante, senza fare della finta retorica. Dal punto di vista delle sonorità che propongo mi rifaccio sempre a una base rock che è il mio background e a cui faccio riferimento.
Qualche aneddoto “dietro le quinte” diciamo della nascita di “Dieci minuti” e come sei arrivato a scegliere proprio questi dieci brani del disco?
L'album arriva dopo un periodo di difficoltà artistica: ho passato un periodo un po' così, dal 2009, quando è uscito un mio singolo con sonorità pop dance, che non mi appartenevano (mi ero fatto tentare da una produzione sperimentale che non era nelle mie corde!). Da lì ho avuto un momento in cui devi affilare la matita per scrivere la tua storia e capire quale sia la tua direzione. Dovevo riflettere su quale fosse la mia strada, sono andato in Inghilterra e lì mi si sono aperte sia le orecchie che gli occhi: ad un certo punto, sono rientrato in Italia per scrivere il mio album. Una volta tornato ho cominciato a scrivere queste canzoni che sono nate in una maniera così naturale che ne sono rimasto quasi sconvolto. Nello stesso tempo ha collaborato con me una persona totalmente estranea all'ambiente musicale: succede a volte che i musicisti, gli artisti, i produttori, sono talmente fossilizzati a volte su determinati clichés o tecnicismi, che perdono di vista le cose fondamentali come arrivare alla gente o la reazione degli ascoltatori. Avevo bisogno di una persona completamente esterna a questo scenario e così ho chiesto ad un mio caro amico, con il dono di scrivere le cose in maniera davvero interessante se avesse voglia di collaborare con me. Lui mi ha mandato delle cose che scriveva e sono diventate delle canzoni, collaborando come autore, alla creazione di questo album. Ma non è l'unica collaborazione presente nell'album: c'è anche il bassista dei Rio, Fabio Ferraboschi, che è anche un bravissimo autore (ha scritto “Invisibili” il brano che Cristiano De Andrè ha portato a Sanremo) che ha lavorato con me alla produzione artistica di questo album. Con lui c'è stata una fusione ideale perché ho trovato davvero quello che volevo. C'è poi anche Cris Maramotti, ex chitarrista di Piero Pelù che ha suonato le chitarre all'interno del disco... ci sono state una serie di collaborazioni importanti e così è venuto fuori, come volevo io, senza filtri!
A proposito dell'esperienza a Brighton, nell'album si sente l'influenza del Brit sound: quanto e come ti ha influenzato a livello personale? Consiglieresti l'esperienza all'estero?
L'esperienza di Brighton per me è stata fondamentale e rimpiango di non averla fatta prima, sia dal punto di vista di crescita personale (ti catapulta in una cultura molto diversa dalla nostra!) che dal punto di vista artistico (non ci sono clichés: ci sono le possibilità di fare)! Mi sono trovato a poter suonare in locali, senza che nessuno mi conoscesse e senza che nessuno mi giudicasse a priori, della serie “non sei nessuno, non ti posso far suonare!”... sai, in Italia, o fai cover o devi avere una fanbase di un certo tipo, altrimenti i locali non ti fanno suonare o ti fanno suonare per una birra e un panino! Trovarsi lì, dove ti accorgi di poter fare quello che ti piace fare... comincia a diventare un pochino eccitante la cosa! Se uno può, quindi secondo me, l'esperienza la deve assolutamente fare! Poi dico anche di tornare nel nostro Paese perché c'è bisogno di accrescere là il proprio bagaglio di esperienze da portare poi qui! Dal punto di vista sonoro ho potuto conoscere artisti che non conoscevo, entrando in negozi che mandavano playlist che noi non sappiamo nemmeno cosa siano, tra un po': con Shazam scopri chi sono e poi vai ad approfondire! Oppure entri in un pub e trovi un gruppo che suona... insomma, di occasioni e spunti se ne trovano parecchi! Se qualcuno deve fare un'esperienza all'estero, comunque, che la faccia immediatamente, senza perdere tempo!
C'è una domanda che nessuno ti ha mai fatto durante le interviste e a cui vorresti rispondere per poter parlare di un argomento che hai a cuore?
Questa ad esempio, è una domanda che nessuno mi ha mai fatto ed è una bella domanda!
Allora, io ho fatto un disco senza ascoltare nessuno: non ho fatto una canzone perché doveva passare per radio o perché me l'ha detto qualcuno... ho fatto un disco come volevo io, bene. Mi piacerebbe parlare della musica in Italia, ma non parliamo solo degli artisti che sono nella top ten delle classifiche o non parliamo solo dei reality o dei talent. Parliamo di un sottosuolo, che sta venendo fuori, di musica indipendente che forse è più lo specchio della realtà! Mi piacerebbe parlare di una cultura diversa, perché siamo un po' troppo strumentalizzati dai media, che vanno sempre presi molto con le pinze! Molte volte non si parla di queste cose perché si risulta scomodi, ma a me piacerebbe molto far vedere questa realtà ai non addetti ai lavori! Loro vedono la classifica, vedono quelli in televisione e non sanno bene tutto quello che c'è dietro! Mi piacerebbe poter parlare maggiormente di quello che è il reale stato della musica italiana adesso... ma ci sarà modo, forse!
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