Si sa che tradizionalmente dicembre è il mese dei bilanci dell’anno trascorso e dei propositi per quello che arriva. Se vi chiedessimo di descrivere in una sola parola il 2020 nel 90% dei casi la risposta sarebbe Covid-19. Come darvi torto! La pandemia ha reso il 2020 un anno faticoso che difficilmente dimenticheremo. Ha stravolto completamente la nostra quotidianità, impedendoci di fare tutte quelle cose che abbiamo sempre dato per scontate, quello che prima avremmo definito la routine, l’ordinario e che ora più che mai abbiamo imparato ad apprezzare. Per questo, abbiamo deciso di salutare il 2020, restando in tema letteratura inglese, consigliandovi un libro che ha fatto dell’ordinario qualcosa di straordinario, La signora Dalloway di Virgina Woolf, un elogio alla quotidianità che ci ricorda quanto sia importante godere delle piccole cose che la vita ci offre, “contentus vivere parvo” come ci insegnano i latini. Con la speranza che il 2021 ci restituisca quanto ci è stato tolto!
Trama
Siamo nel giugno del 1923 a Westminster, nel cuore di una frenetica Londra, in una giornata qualsiasi. Clarissa Dalloway è una bella e ricca signora di mezza età, donna di indiscussa classe, moglie di un rispettato uomo politico, eccellente padrona di casa e madre felice. Esce di casa e perdendosi tra i ricordi della sua vecchia vita a Bourton, si dirige a Bond street per comprare dei fiori per il party che sta organizzando per la sera stessa. Tutta la trama ruota attorno alla descrizione della sua giornata. Intrecciandosi, ma solo idealmente, con quella di Septimus Warren Smith, un reduce della prima guerra mondiale che soffre di disturbi mentali. Tra i due sembra non esserci nessun legame, se non la città di Londra. Ma è proprio in questo che emerge la straordinarietà dell’autrice, la quale con eccellente maestria, riesce a creare un filo quasi invisibile di corrispondenze tra i due personaggi, realizzando un’opera di grande impatto emotivo. Septimus e Clarissa sono due sconosciuti accomunati dallo stesso amore-odio per la vita, che li porterà, con epiloghi diversi, ad affermarne comunque il valore inestimabile.
I temi
L’opera in buona parte autobiografica venne pubblicata nel 1925. Non è la narrazione della storia ciò che conta in questo romanzo ma la resa fedele degli avvenimenti della coscienza. “Attraverso una narrazione non lineare, che procede per improvvise associazioni di idee che si aprono nel pensiero, portando alla superficie frammenti del passato, Virginia Woolf inaugura quello che lei stessa definì “un processo di penetrazione per cunicoli” che mira a creare l’effetto di simultaneità tra esperienze diverse.” Il risultato è sorprendente! Pagina dopo pagina ci rendiamo conto che è la banalità delle cose a rendere interessante la narrazione, quelle azioni ordinarie che dovrebbero condurre al grande evento, il quale una volta raggiunto non è poi così grande. Perché la vita è questa, “è quello che ti accade mentre sei occupato a fare altri altri progetti” per citare John Lennon. E anche quando apparentemente non stiamo facendo nulla, in realtà la nostra mente pensa, respiriamo, viviamo. Questo romanzo ci offre l’opportunità di riconsiderare ed apprezzare in una nuova ottica quello che diamo così spesso per scontato, è un elogio alla quotidianità, alla normalità che lascia in chi lo legge un senso di pienezza in un periodo in cui ci sentiamo svuotati completamente. Il segreto è immergersi totalmente nella lettura, immedesimandosi con i protagonisti che non stanno facendo altro che trascorrere una giornata qualsiasi di un giorno qualsiasi. La straordinarietà de La signora Dalloway risiede proprio in questo.
“Sì, pensa Clarissa, è ora di mettere fine a questa giornata. Diamo le nostre feste; abbandoniamo le nostre famiglie per vivere da soli in Canada; combattiamo per scrivere libri che non cambiano il mondo, nonostante il nostro talento e i nostri sforzi senza riserve, le nostre speranze più stravaganti. Viviamo le nostre vite, facciamo qualunque cosa, e poi dormiamo - è così semplice e ordinario. Pochi saltano dalle finestre o si annegano o prendono pillole; più persone muoiono per un incidente; e la maggior parte di noi, la grande maggioranza, muore divorata lentamente da qualche malattia o, se è molto fortunata, dal tempo stesso. C’è solo questo come consolazione: un’ora qui o lì, quando le nostre vite sembrano, contro ogni probabilità e aspettativa, aprirsi completamente e darci tutto quello che abbiamo immaginato, anche se tutti tranne i bambini (e forse anche loro) sanno che queste ore saranno inevitabilmente seguite da altre molto più cupe e difficili. E comunque amiamo la città, il mattino; più di ogni altra cosa speriamo di averne ancora. Solo il cielo sa perché lo amiamo tanto.”