È possibile accostare una lingua del passato a un mondo di invenzione moderna? Certo che sì! E ad alcuni è riuscito proprio bene: J.K. Rowling ha conquistato l’approvazione di milioni di lettori provenienti da ogni dove, che nel mondo di Harry Potter hanno trovato un posto in cui rifugiarsi e trascorrere bei momenti in compagnia del Trio e degli altri personaggi che, chi più chi meno, hanno lasciato un segno nella storia della saga.
Il latino in Harry Potter è più vivo di quanto si possa pensare. Gli studi classici della scrittrice rivelano infatti la scelta ragionata di attribuire determinati nomi ai personaggi e agli incantesimi, di cui, però, non ci siamo mai posti il vero significato.
Il latino: una "lingua quotidiana"
Prima di analizzare per bene particolari aspetti che rendono unica la saga del maghetto, è necessario un compromesso: il latino non è una lingua morta! Quotidianamente parliamo puro latino. Quante volte, fra amici e compagni di classe, diciamo “idem” per esprimere che si è fatta la stessa cosa o che la si pensa alla stessa maniera dell’altro? Oppure “in primis” per segnalare l’inizio del discorso? Oppure ancora “incipit” per designare il prologo di un romanzo o di un poema? Insomma, parliamo latino!
I nomi in Harry Potter
J.K. Rowling ha fatto della lingua latina un espediente per comporre buona parte del lessico (e non solo) che ha riempito le pagine dei sette libri di Harry Potter.
“Draco dormiens numquam titillandus”. Il motto di Hogwarts, rigorosamente scritto in latino, recita: “Non disturbare mai il drago che dorme”.
Ma, oltre a ciò, troviamo un ampio uso della lingua latina nei nomi, che richiamano talvolta l’indole o specifici caratteri fisici dei personaggi: per esempio, il nome Bèllatrix (Bellàtrix alla latina) Lestrange, fidata Mangiamorte di Voldemort, indica colei che fa la guerra, e, in una visione più ampia, fa riferimento a colei che, in qualche modo, alimenta la guerra (ed è proprio quello che ha fatto Bellatrix: partecipare attivamente alla Seconda Guerra dei Maghi, sfociata nella quasi totale distruzione di Hogwarts). Una menzione va fatta al cognome di Remus Lupin, che, intuitivamente, può essere associato al sostantivo latino “lupus”, il quale descrive la licantropia di cui l’uomo è affetto. Troviamo poi Severus, il cui nome è connotabile alla severità e al rigore, Piton. E, dulcis in fundo, il nome Albus, che, insieme con Silente, ha anche il suo perché: se Albus (che in latino significa “bianco”) sta ad indicare il colore canuto dei capelli e della barba del preside di Hogwarts, richiamando così l’aspetto fisico, Silente (che deriva da “silens, -entis”, dal verbo “sileo”, cioè “stare in silenzio”) richiama la sua indole taciturna.
Gli incantesimi
Ecco, di seguito, la prova che il latino trova posto anche (e soprattutto) nella maggior parte dei nomi degli incantesimi:
- Wingardium Leviosa (o Incantesimo Levitante), composto da wing (ing.), “ala”, + arduus (lat.), “alto”, + levo, -are, “sollevare” significa “sollevare in alto” (chi dimentica il momento in cui Hermione, scandendo la pronuncia del nome dell’incantesimo, Leviòsa, riesce a far sollevare la piuma durante l’ora del professor Vitious!).
- Expelliarmus (o Incantesimo di Disarmo), composto da expello, -ĕre, “allontanare”, “respingere” + arma, “armi”, serve a “respingere le armi” (ricordate in che modo Piton, nel secondo libro o film, aveva disarmato il professore Allock nel Club dei Duellanti?).
- Expecto Patronum (o Incanto Patronus) è forse uno degli incantesimi più celebri di tutta la saga. Come dimenticare il momento del terzo libro o film in cui Harry richiama il suo patronus! Il significato del nome di questo incantesimo è chiaro: “sono in attesa del (mio) protettore”, oppure “desidero ardentemente il (mio) protettore”, dal lat. exspecto (“attendere”) + patronus (“protettore”, “difensore”).
- Lumos, l’incantesimo che accende una luce flebile sulla punta della bacchetta, il cui nome deriva da lumen, “luce”.
- Accio (o Incantesimo di Appello), l’incantesimo che permette di attirare a sé qualsiasi oggetto, il cui nome deriva dal verbo latino “accio, -ire”, che significa “far venire”, “chiamare a sé”.