Nel paesino tedesco di Unterleuten arrivano le turbine eoliche. Tutti contenti per la svolta ecologica? Macché. 617 pagine (belle davvero) di come le diverse anime del paese approvano il progetto o si oppongono, perché “in fondo l’energia eolica la volevano tutti, come no, ma nessuno davanti alla porta di casa propria.”
Turbine, il nuovo romanzo di Juli Zeh edito da Fazi Editore, non descrive solo le vicende legate all’effetto Nimby – che, per chi non lo sapesse, è quando qualcuno si oppone alla creazione di un’opera di interesse generale perché realizzarla gli impone un sacrificio o perché minaccia salute, sicurezza o status di un’area – ma racconta le piccole lotte interne della comunità, le dinamiche tra vicini di casa ed eterni antagonisti, tra gli amici nuovi e quelli di sempre restituendo personaggi profondamente caratterizzati, densi e ricchi di sfaccettature: un veterocomunista anziano in lotta col grande proprietario arcinemico, una giovane che possiede una foresta, un uomo senza memoria, una donna che ha paura del cielo, una moglie con un marito violento, un ex professore ora zelante esponente della protezione uccelli, una iperprotettiva neo-mamma che non sa più chi sia.
La chiusa mentalità di paese e la diffidenza per l’industria che fa il suo ingresso nel mondo rurale si mischiano alla causa ecologica, la salvaguardia della natura si confonde con gli interessi speculativi. Anche quando tutti sembreranno d’accordo nel fermare l’arrivo delle turbine, qualcuno nell’ombra cercherà di trarre un vantaggio personale dalla situazione. Del resto Unterleuten è un paese dove girano pochi soldi, in alcuni casi si pratica ancora il baratto. Qui si paga una tappezzeria in soggiorno con un’oca ingrassata, ci si scambia favori. Non ci sono negozi né farmacia, non c’è l’ufficio postale né la scuola. Se dici “rete internet”, qualcuno scherzando alluderà alle recinzioni tra le case, perché la sera è da lì che ci si affaccia e ci si scambiano informazioni.
La natura non è sfondo, ma personaggio presente che condiziona le scelte e le percezioni dei protagonisti. Del paesaggio Juli Zeh pennella descrizioni come quadri: a Unterleuten il crepuscolo è rosso fuoco e invade le stanze, poi vira al grigio blu perché i tramonti sono brevi.
La tecnologia che accompagna da vicino la vita umana ha un carattere di “sterile neutralità”, spesso rassicurante ma sempre atona rispetto alla natura. Non c’è critica da parte dell’autrice, solo constatazione.
Juli Zeh entra in profondità nella mente, nei pensieri e desideri dei personaggi, nelle loro sofferenze. La sua scrittura tesse i fili del tempo. All’azione presente si intrecciano flashback del passato remoto: ricordi dei compaesani più anziani, frammenti di vita nella DDR e dei “pacchi dell’Ovest” spediti ai parenti che vivevano nella Germania Est. Memorie fatte di cioccolata e di jeans, oggetti di un Occidente libero inviati a cugini mai visti perché abitanti dall’altro lato del Muro. Passato lontano ma anche più prossimo: sensazioni appena vissute, riflessioni su ciò che è e deve ancora trovare una sua fine. Tutto è un eterno presente.
Non ci sono buoni e cattivi. In Turbine sfilano personaggi cupi e benintenzionati allo stesso tempo, percorsi di vita difficili fatti di principi ed errori, ipocrisie e contraddizioni, tentativi di amare che non sempre riescono. Il meno riuscito, o forse solo il più tortuoso, è l’eterno rapporto padre – figlio qui riproposto sotto tanti punti di vista: quello tra Miriam e Schaller, Kron e Katrin, Gerhard e il padre senza nome. Tanti i non detti, tanti i silenzi parlanti.
La lettura risulta a tratti complessa per i temi trattati, alternando parti più lente e tecniche a parti più scorrevoli fatte di flussi di coscienza e interessanti mondi interiori dei personaggi. Nonostante il tema drammatico e l’infelicità generale dei personaggi, quando pensi a questo libro durante la giornata sei contento di averlo nella tua vita e curioso di andare avanti.
Il finale è uggioso ma con limpidi sprazzi: qualcuno infine comprenderà il modo giusto di vivere il passaggio dal vecchio al nuovo, dal Novecento al Duemila, dalla campagna povera a un futuro diverso; ma qualcun altro sceglierà un’uscita di scena profondamente segnante. La sensazione con cui volti l’ultima pagina è però positiva: la vita ad Unterleuten (e per chi è scappato da lì) continuerà se non proprio gioiosa, almeno interessante. Col passare dei giorni, dopo la lettura, sbiadiscono gli episodi tristi e rimane invece il ricordo di una scrittura ricca e di personaggi ben descritti nei loro ragionamenti. Rimane l’idea di un libro che rileggeresti per il gusto di vederti dipanare sotto agli occhi, ancora una volta, delle menti e delle anime umane così ben studiate.
Ti piacerà questo libro se: hai amato il libro o il film di Chocolat.
Personaggio protagonista preferito: Linda, che parla l’equino ma non addestra i cavalli bensì gli umani. È a loro che insegna a comunicare coi cavalli, a tenere sotto controllo il corpo e i pensieri, non solo a nascondere la paura ma a non provarla del tutto. Uno strato di equilibrio che nasconde un sogno forte, per cui è disposta a tirar fuori l’anima più calcolatrice che ha.
Personaggio minore preferito: Nonna Rudiger, mediatrice e bollettino del paese, imparentata con tutti e amante del liquore Bromfelder. Se hai bisogno di qualcosa vai da lei, sia che ti serva una pietra angolare che un’informazione. Se la situazione è complicata, Nonna Rudiger si porta appresso una bottiglia di Bromfelder.
Le frasi più belle:
“In cinquant’anni di vita aveva imparato che la lotta non porta mai alla pace.”
“Chi realizza i propri sogni non ha bisogno del principe azzurro.”
“Si era ritrovato troppo spesso a spiegarle il mondo anziché abbracciarla.”
“Qualsiasi cosa combini l’umanità, il bosco resta a guardare in silenzio.”
“Aveva appena risolto uno dei più grandi dilemmi dell’umanità, vale a dire perché c’è così tanta violenza a questo mondo. Risposta: perché essere violenti è di una facilità pazzesca.”
“Il tempo che si addice a un abbraccio tra amici scadde; si strinsero ancora un momento e poi si lasciarono.”
“Non vedo niente”. “Capita, quando si guarda il passato.”