La vita è come i ringraziamenti finali di un libro. Non sai mai quello che ti capita.
E chi avrà la compiacenza di arrivare fino ai ringraziamenti de Il giorno dei Lord scoprirà le inaspettate origini del libro: una visita alla Camera inglese, due porte nascoste dietro il trono, un particolare apparentemente insignificante che cela un mistero buffo. Lo scrittore Michael Dobbs partecipò a quella visita, aprì le porte e fece una scoperta. E decise che un giorno ci avrebbe scritto sopra una storia.
È questa la genesi de Il giorno dei Lord, edito dalla Fazi Editore e da oggi in libreria. Un romanzo nato dalla mente dell’autore di House of Cards, ispirato a sua volta da quel piccolo particolare, quasi uno sberleffo architettonico, scoperto all’ombra del trono. E tanta della forza di questo nuovo romanzo sta nei piccoli particolari, insospettabili, capaci essi soli di svelare l’intrigo internazionale.
Ma andiamo con ordine.
Londra, 5 novembre. Le più alte cariche inglesi sono pronte a radunarsi nella Camera dei Lord per l’annuale cerimonia di apertura del Parlamento. Bizzarra coincidenza: quello stesso giorno, nel 1605, Guy Fawkes aveva tentato la congiura delle polveri. Oggi qualcuno sta per emulare la sua impresa, con nuove rivendicazioni e armi assai più potenti.
Un gruppo di terroristi assalta la Camera e tiene in scacco i politici più potenti del mondo. Alcuni sono fisicamente in ostaggio nella Camera: la regina Elisabetta, il principe Carlo, ministri e capi spirituali. Altri sono rimasti fuori, ma rischiano di perdere qualcuno di molto prezioso all’interno: la presidentessa degli Stati Uniti per esempio, che ha il figlio tra gli ostaggi. Le richieste dei terroristi sono chiare: o l’Occidente libera uno dei loro capi, da poco catturato, o si faranno saltare in aria insieme alla Camera e i loro prigionieri.
Le ore successive saranno una corsa contro il tempo per cercare di capire cosa o chi si cela dietro all’attentato e per salvare gli ostaggi.
La parola d’ordine è ritmo. Sin dal primo capitolo il punto di vista cambia ogni poche pagine, presentando i personaggi già immersi tutti nei propri conflitti, destinati a unirsi in quello principale dell’attentato. Decisamente (e per fortuna) non un romanzo in cui l’apertura si fa aspettare: qui la scena è già aperta, sei tu ad essere in ritardo. E la scrittura di Dobbs ti incalza per recuperare terreno.
Harry Jones, ex militare ribelle e anticonformista, dovrà mettere da parte una crisi matrimoniale – e un figlio in arrivo che la moglie sembra decisa a non voler tenere – per aiutare le forze di polizia a risolvere la più grave crisi inglese del secolo. Durante le sue trattative con i terroristi scoprirà che dietro all’attentato c’è molto più della volontà di far liberare un capo. Giochi di potere e di Borsa, antiche ritorsioni e società fantasma, moventi pieni di sfaccettature: tutti mossi da un desiderio di vendetta contro l’Occidente e le sue oligarchie. La chiave, l’indizio, forse sta nei figli.
Il più grande atto terroristico della storia inglese si rivela profondamente legato all’amore umano più antico e profondo: quello tra genitori e figli.
Le stesse ore di pericolo e sospensione nella Camera creano insospettabili avvicinamenti tra persone che nella vita si sentono distanti: quello tra il primo ministro e il figlio Magnus, entrambi catturati; quello tra la presidentessa degli Stati Uniti e il figlio, anch’esso prigioniero; quello tra Elisabetta e Carlo, che tra recriminazioni e ammissioni di colpa riscoprono l’affetto e il proprio lato umano dietro alla facciata istituzionale. Lui, un principe che ha rinunciato ai sogni personali per mostrarsi degno del proprio ruolo. Lei, una regina longeva e dal grande carisma, che ha visto svilire e compromettere tutte le cose a cui teneva negli ultimi decenni, allo stesso tempo madre che comprende le aspirazioni tradite del figlio e le schiaccianti aspettative del mondo.
Non solo amore tra madri e figli, ma soprattutto amore tra padri e figli. L’amore paterno è qui definito folle, totalizzante e incontenibile (“La paternità è una forma di follia, altrimenti perché decideremmo di votarci a una donna sola?”), proprio da quei personaggi che più di tutti sono stati dei padri assenti: il ministro Eaton, pronto a redimersi e a salvare il figlio Magnus davanti ai terroristi, l’ambasciatore americano Paine che sente di non avere più nulla da perdere dopo la morte in guerra del figlio. Un paradosso interessante, come pure l’approccio alla questione di genere, qui assai sfaccettato: Dobbs tratteggia una donna primo ministro inglese e una donna presidentessa degli Stati Uniti (la prima), che però devono faticare il doppio per dimostrare il proprio valore in un mondo politico maschile. Per non parlare della questione dell’aborto emergente dal doppio punto di vista di Mel, che non vuole tenere il figlio in arrivo, e di Harry che propugna i propri diritti di padre sul corpo della compagna (prima di scoprire che…). Diversi pensieri e posizioni, condivisibili o meno, che hanno però il pregio di far discutere.
Esiste un fatale collegamento tra la cellula terrorista e il governo inglese. Un piccolo ma significativo segreto del passato che verrà svelato nel corso delle terribili ore di trattative e che aprirà le porte a un ribaltamento dei ruoli e a una diversa attenzione rispetto alle rivendicazioni. Dobbs condanna la violenza e il terrorismo, ma senza disdegnare un forte scavo nelle motivazioni dei “cattivi”. Si allontana dalla lettura semplificata del mondo e ci invita a guardare nella complessità della sua contraddizione, nella struttura del benessere occidentale basato sullo sfruttamento di risorse e di popoli, di giovani mandati a morire per guerre condotte da governi comodamente seduti in poltrona. È così che il vero dramma si rivela. Non nelle ore di ostaggio, ma nelle ultime pagine in cui si chiarisce finalmente il mistero tra orchestrati e orchestratori: il dolore di chi resta vivo dopo una guerra, un raid, un massacro, con nient’altro tra le mani che macerie e medaglie al valore.
In apertura si parlava di piccoli particolari insospettabili. Ebbene, non sempre i nemici più immediati sono anche i più pericolosi.
“Ha distrutto tutto ciò che aveva.”
“Io non volevo nulla per me stesso. Non sono come gli altri. Io volevo solo…”
“… far soffrire chi le aveva fatto del male. Come ha sofferto lei.”
“Io desideravo la mia morte, non quella degli altri. Capisce? Volevo che finisse tutto.”
Parola di un kamikaze. Uno dei tanti chiusi nella Camera dei Lord, insieme agli ostaggi. Ma siete sicuri di sapere di quale si tratta?
Vi sfidiamo a trovarlo.
Ti piacerà questo libro se: hai apprezzato V per Vendetta.
Personaggio minore preferito: la baronessa Celia Blessing, 73 anni, ex ministro degli Esteri. Ha un odore vagamente equino e ci tiene moltissimo a star seduta in un buon posto alla Camera dei Lord durante la Cerimonia di Apertura. Si ritrova il posto occupato e a toglierglielo è l’altro nostro personaggio minore preferito, Archie Wakefield. Si tratta di un politico suo coetaneo che viene dalla classe operaia. La sua giacca migliore è una giacca che riesce comunque a stargli stretta e larga allo stesso tempo, il che fa tanto proletariato ammodo. Archie battibecca da una vita con lei, che è conservatrice. Sono un po’ i Sandra e Raimondo del libro, ma in versione dark.
Frasi e citazioni tratte da Il giorno dei Lord:
“Un frigo pieno di rimpianti.”
“È incredibile quanto un uomo possa agitarsi, anche dopo aver deciso di morire”
“È iniziata l’occupazione, primo ministro. Benvenuto nel club.”
“Uomini che un tempo chiamavamo terroristi, oggi governano il Parlamento dell’Irlanda del Nord, o siedono in quasi tutti i palazzi presidenziali dell’Africa, riempiendosi la pancia con gli aiuti occidentali. Quindi quand’è che un terrorista smette di essere tale?” “Quando i politici se lo scordano.”
“I nostri governi intraprendono queste guerre scellerate standosene comodamente seduti in poltrona, mandano a morire i nostri ragazzi migliori, mentre il resto della popolazione cambia canale col telecomando, per cancellare ogni traccia di imbarazzo. Non soffrono, non fanno alcun sacrificio, non scendono mai dal pulpito per piangere i loro morti. Si limitano a lavarsene le mani e a voltare lo sguardo dall’altra parte. E questo non è giusto.”
“Nella prossima vita voglio essere un uomo felice. Non un principe ma una persona normale.”
“Pietà? Forse voi ne avete avuta verso il mio popolo? Ancora non capisce, vero? Noi non abbiamo mai voluto questa guerra, non siamo stati noi a cominciare: siete stati voi a imporcela, anno dopo anno, distruggendo i nostri villaggi e uccidendo i nostri cari sotto i nostri occhi. E ora viene a parlarmi di pietà. Temo che non ci sia più spazio per quella, ormai. Non è più la pietà che conta, ma la morte: quali e quante morti ci saranno e il clamore che ne nascerà. Credo sia stata questa la vostra strategia nel mio Paese, per molti anni. Quindi ora seguiremo l’esempio.”