Innamorata della sua Bari, Adriana Ostuni si definisce “una persona normale che, come tutte, ha la sua singolarità”. Il suo romanzo d’esordio, Apollo nel caos, è stato un’ancora di salvataggio in un momento difficile della vita, una rinascita che l’ha messa in contatto con la parte più autentica di sé.
Le verità apparenti, suo secondo romanzo, prosegue la ricerca di autenticità smascherando ciò che autentico non è.
Quali sono le “verità apparenti” che hai voluto descrivere nel tuo ultimo romanzo?
Viviamo nella cultura dell’apparire, più che dell’essere. È come se avvertissimo il bisogno di confezionarci un sorriso per vivere sotto la sua protezione, di camuffarci, di nascondere al mondo i nostri piccoli difetti e le nostre fragilità, un qualcosa che giudichiamo a dir poco disdicevole, sconveniente. Così facendo, finiamo per divenire complici dell’apparenza, per indossare un’esistenza che non ci appartiene del tutto, pur di conquistarci quel posto al sole nella società che giudica dalle apparenze. Ecco, il mio libro racconta un po’ di questo: più nello specifico, da un lato, per quanto riguarda Fabrizio, il protagonista, si parla del tentativo di camuffarsi dietro ciò che appare, di celarsi, cioè, dietro la copertura di una maschera di perfezione; dall’altro, e questo riguarda Alessia, la protagonista, dell’attitudine ad accontentarsi, per lo meno all’inizio della storia, di ciò che appare in superficie, rifiutando di andare oltre, alla ricerca di quei segnali che avvicinino alla verità. Comportamenti, entrambi posti in essere come forme di difesa: quello di Fabrizio, dettato dalla difficoltà di svelare agli altri e a se stesso la propria natura, a causa di conflitti interiori rimasti irrisolti; quello di Alessia, condizionato dalla paura di scoprire una verità scomoda, dolorosa, quindi difficile da accettare.
Qual è il tuo personaggio preferito di Le verità apparenti e perché?
I personaggi dei miei libri non sono mai dei vincenti. Sono sempre alle prese con le loro vulnerabilità, debolezze, contraddizioni. Credo che questo li renda umani, oltre che credibili. Le verità apparenti è modellato sul taglio biografico di una narratrice in prima persona, Alessia appunto. Io empatizzo con lei, molto spesso solidarizzo, pur non convenendo sempre col suo modo di affrontare la realtà. Una realtà, come ci aggiorna la cronaca, molto comune, purtroppo, a quella di molte persone che vivono situazioni a rischio, nelle mani di partner che le manipolano e strumentalizzano, arrivando a compiere atti di vera e propria violenza, psicologica ancor prima che fisica. E qui entriamo nella tematica delle relazioni di coppia disfunzionali, ciò che comunemente definiamo amore tossico, amore malato. A tal proposito, consentimi una piccola digressione: molti lettori, in particolare, insegnanti, mi hanno fatto notare che Le verità apparenti è un libro che si presta per essere adottato nelle scuole, come veicolo per l’educazione all’affettività. In effetti, in un periodo tumultuoso di relazioni ferite tra uomini e donne, i giovani in particolar modo dovrebbero essere resi più consapevoli dei rischi e delle conseguenze dei rapporti “sbagliati” con l’altro sesso. Il libro diverrebbe, in contrapposizione, tramite per favorire legami di coppia sani e funzionali, alla base dei quali vi è lo stare bene con se stessi. Naturalmente, oltre ai protagonisti, Alessia e Fabrizio, ci sono i personaggi secondari: come non poter ammirare Mabili, l’amico nigeriano di Alessia, perfettamente integrato nel tessuto sociale del nostro Paese, brillantemente inserito sia in ambito lavorativo che all’interno dell’Associazione di volontariato di cui fa parte anche lei, e a cui lui dà il suo contributo nel tempo libero: una persona che, nonostante il vissuto difficile, riesce a ribaltare il destino a proprio favore, divenendo punto di riferimento e esempio di riscatto morale per gente, in questo caso i migranti, condannata ad affrontare una realtà intollerabile dal punto di vista umano.
La protagonista di Le verità apparenti è una guida turistica. Come ti sei preparata sul mondo dell’arte prima di affrontare il romanzo? In generale, che tipo di preparazione deve fare un autore quando inizia a lavorare a un romanzo?
L’arte è stata da sempre la mia passione, un vero e proprio nutrimento per l’anima. Per me l’arte è essenza stessa della vita, connessione con il mondo, manifestazione polimorfe di svariate esperienze sensoriali umane, che spaziano dalla pittura, alla scultura, all’architettura, alla musica, alla danza, alla letteratura e via dicendo. Dunque l’arte intesa come documento, come testimonianza che può essere realizzata attraverso qualsiasi espressione o materia. Nel mio caso l’arte è anche terapeutica, un’esigenza insopprimibile, perché mi aiuta a cogliere la bellezza di ciò che mi circonda, dandomi l’opportunità di acquisire una maggiore consapevolezza delle cose. Ho anche avuto la fortuna di viaggiare e, come in un moderno Grand Tour, di apprezzare dal vivo ciò che ho studiato sui libri, visitando musei prestigiosi e siti di grande interesse culturale. Ovviamente, quando ho scritto i miei libri, che hanno entrambi la caratteristica di considerare l’arte come il fil rouge delle vicende dei personaggi, (nel mio primo romanzo, Apollo nel caos, ho fatto riferimento al gruppo scultoreo di Apollo e Dafne del Bernini, in Le verità apparenti all’opera di Salvador Dalì), mi sono documentata maggiormente, per rilasciare al lettore notizie attendibili. La parola chiave per un autore quando inizia a lavorare è dunque: documentarsi.
Sappiamo che scrivi anche poesie.
La poesia ha la peculiarità di condensare un mondo di idee e di emozioni in poche parole. La narrativa, dunque il linguaggio in prosa, ha chiaramente bisogno di un lavoro, per molti versi, agli antipodi. Le mie poesie sono considerate da chi le legge ricche di suggestioni, di musicalità, di sensorialità. Rappresentano per me il tramite per veicolare riflessioni sul senso della vita, alla luce delle sue cicliche fasi trasformative. Rispecchiano il mio amore per la natura e per i suoi elementi, che diventano metafora dell’esperienza umana considerata nelle sue molteplici forme, dalle meno felici alle più gioiose. Ho anche un progetto nel breve termine in campo poetico: la pubblicazione di una raccolta di poesie.
Hai studiato Scienze Politiche e dalla tua biografia leggiamo che sei impegnata nel sociale. Quali sono le tue attività?
Sì, più precisamente, dopo la maturità linguistica, ho conseguito il Diploma di Interprete e Traduttrice per le lingue Inglese e francese, completando il percorso di studi con la laurea in Scienze Politiche. Attualmente sono nel Direttivo di una Associazione di volontariato, l’AVO, Associazione Volontari Ospedalieri, di Bari Onlus, la cui mission è di umanizzare l’ambiente sanitario, cercando di rendere più accettabile la degenza dei pazienti in ospedale. Noi volontari non ci sostituiamo al personale medico-sanitario ma svolgiamo soltanto un ruolo di supporto, offrendo agli ammalati calore umano, dialogo, aiuto per lottare contro la sofferenza, la noia, l’isolamento, mettendo a loro disposizione, in modo del tutto gratuito, il nostro tempo, le nostre risorse personali, la nostra amicizia, accogliendo i loro problemi senza aspettarci nulla in cambio, cercando con semplici gesti, come rigirare un cuscino, stringere una mano, accarezzare un anziano o un bambino, di rassicurare e confortare chi è in difficoltà. Noi, settimanalmente, doniamo una piccola parte del nostro tempo. In realtà, ciò che riceviamo è molto di più.
Molti nostri lettori hanno appena sostenuto l'esame di maturità e presto si iscriveranno all’università. Com’è stata la tua esperienza di studi? Scienze Politiche è una facoltà che consiglieresti e perché?
Sono passati tanti anni dal giorno in cui mi sono laureata in Scienze Politiche. Per ciò che mi riguarda, la mia esperienza è stata positiva. Ma c’è da sottolineare che il mondo oggi è cambiato, la società è in continua trasformazione, soprattutto in conseguenza dell’avvento delle nuove tecnologie. Consigliare la scelta di un corso di studi non è cosa semplice. Ciò che posso suggerire ai giovani che si affacciano alla realtà universitaria è di seguire le proprie inclinazioni e di assecondare le proprie aspirazioni. Essere dunque determinati, fantasiosi, visionari, coraggiosi, pronti ad accettare le sfide. Essere anche un po’ sognatori. Sì, ciò che mi sento di consigliare loro è di credere in primo luogo a se stessi e, di tanto in tanto, ai sogni. Perché a volte, a forza di sognare, i sogni si realizzano.
Un consiglio per i giovani che aspirano a diventare scrittori.
Scrivere è un lavoro appassionante, entusiasmante, ma è un’attività altrettanto dura che implica dispendio di energie, continuo esercizio, aggiornamento, spirito di sacrificio, ricerca, lavoro di revisione e via dicendo. Quando si termina un’opera letteraria, a fronte dell’impegno è legittimo aspettarsi un riscontro economico, che ahimè, non è sempre così scontato, visto il grado di competitività e la complessità dell’industria letteraria e le difficoltà di arrivare a una pubblicazione. Fondamentale è, dunque, assecondare la propria passione, scrivere con entusiasmo e al massimo delle proprie possibilità, ma non puntare soltanto su questa attività. Occorre cioè renderla complementare con un’altra verso cui ci si sente portati. Con la certezza che quando un lavoro è fatto bene, i frutti prima o poi arrivano. Ci vuole un po’ di pazienza, è vero. Ma i frutti destinati ad essere buoni maturano e danno nutrimento al corpo e allo spirito. Sempre.