Nothomb. Un amore non realizzato
Innamorarsi d’inverno non è una buona idea…
Greta Pieropan | 11 dicembre 2013
Probabilmente dopo aver letto questo libro, quando vi diranno “Viaggio d’inverno” non penserete più immediatamente a Shubert.
Anche se di certo a quelle composizioni è ispirato il titolo di questo libro di Amélie Nothomb, autrice belga, vissuta per un lungo periodo in Giappone, esperienza alla quale ha dedicato due libri, i suoi titoli più noti: Stupore e tremori, del 1999, e Né di Eva né di Adamo, del 2008.
Centrale ne Il viaggio d’inverno però non è il Giappone, non è un’autobiografia, non è la musica, anche se la composizione di Shubert viene citata perché ad ascoltarla è il protagonista della storia: Zoile, laureato in filologia, che lavora però per l’azienda del gas e controlla che tutti abbiano un riscaldamento adeguato. È proprio durante uno di questi controlli che incontra Astrolabe, eccentrica aiutante della scrittrice Alienor, che il protagonista adora fin da subito perché crede che lei sia la vera autrice dei romanzi. In realtà Astrolabe scrive ciò che Alienor le detta, e che non può scrivere Alienor stessa a causa dell’autismo che le rende difficili anche le azioni più semplici.
Inizia così uno stranissimo corteggiamento in un appartamento freddo, perché manca il denaro per accendere il riscaldamento, che culmina prima con un trip a base di funghetti e poi in un piano folle su cui si regge tutta la narrazione del (mancato?) rapporto tra Astrolabe e Zoile.
Breve racconto fine a se stesso, ma con sprazzi molto intelligenti e da approfondire, è a prima vista un semplice divertissement sull’amore, anche se molto poco romantico e molto più politicamente scorretto. E invece, in 112 pagine, sono condensati molti spunti per il lettore attento: innanzitutto il gioco tra i nomi, non solo su quello di Alienor, rivelato dallo stesso protagonista che prima di scoprire la verità vi sente qualcosa di alieno nel senso quasi di divino e poi di alieno nel senso comune; ma soprattutto nei nomi degli altri protagonisti: Zoile e Astrolabe, nomi stranissimi, scelti dai genitori per motivi assurdi (rispettivamente: a caso tra sofisti bistrattati dalla storia o per vendetta) e che li uniscono come se il loro destino fosse nel nome.
E ancora, il riferimento alla “trama” della composizione shubertiana, basata a sua volta su poesie di Müller che narravano di un amante deluso che compie un viaggio difficoltoso proprio perché invernale, che lo porterà infine a un cimitero, e benché tutte le metafore svelino il desiderio di pace eterna del protagonista, la morte continua a non ragggiungerlo. Anche nel romanzo della Nothomb abbiamo l’amante deluso, e in uno dei pezzi più belli del romanzo insiste sul fatto che innamorarsi d’inverno non sia una buona idea, perché le sensazioni di freddo e d’amore vengono amplificate fino all’eccesso.
E sempre dallo stesso brano ricaviamo che l’autrice si diverte lei stessa a sfuggirci, incastrando in perle di saggezza dei sorrisi ironici o amari che comprendiamo solo dopo, o inserendo dialoghi che ci catturano per quanto astrusi e che vengono interrotti lasciandoci con l’insoddisfazione di non farne più parte. E subito dopo, nel pigro scorrere dell’inverno, inserisce la vivace e veloce narrazione del trip causato dalle droghe, uno dei quattro viaggi effettivamente compiuti nel romanzo: il primo, fatto dal protagonista adolescente per rinchiudersi solo in una casa a tradurre l’Odissea, il secondo, fatto in giro per Parigi quotidianamente per lavoro e poi per amore di Astrolabe, il terzo, quello causato dai funghi appunto, e l’ultimo. Ultimo in tutti i sensi a quanto pare.
Sì, perché nel romanzo, mentre siamo distratti dalla storia di conquista di un sentimento, aleggia la presenza della fine di tutto, causata da un doppio rifiuto dell’amore, vissuto come sentimento totalizzante ma impossibile da realizzare perché i personaggi sono fondamentalmente soli e tali vogliono restare. E se all’ironia spietata non sfugge l’amore, non le sfugge nemmeno la morte.
In uno stile semplice e diretto, tra riflessioni filosofiche, descrizioni del precariato lavorativo, visioni strampalate e una meta da rincorrere, la Nothomb ci presenta i suoi più tipici personaggi.
Forse non il migliore dei suoi romanzi, ma di certo da leggere.
Anche se di certo a quelle composizioni è ispirato il titolo di questo libro di Amélie Nothomb, autrice belga, vissuta per un lungo periodo in Giappone, esperienza alla quale ha dedicato due libri, i suoi titoli più noti: Stupore e tremori, del 1999, e Né di Eva né di Adamo, del 2008.
Centrale ne Il viaggio d’inverno però non è il Giappone, non è un’autobiografia, non è la musica, anche se la composizione di Shubert viene citata perché ad ascoltarla è il protagonista della storia: Zoile, laureato in filologia, che lavora però per l’azienda del gas e controlla che tutti abbiano un riscaldamento adeguato. È proprio durante uno di questi controlli che incontra Astrolabe, eccentrica aiutante della scrittrice Alienor, che il protagonista adora fin da subito perché crede che lei sia la vera autrice dei romanzi. In realtà Astrolabe scrive ciò che Alienor le detta, e che non può scrivere Alienor stessa a causa dell’autismo che le rende difficili anche le azioni più semplici.
Inizia così uno stranissimo corteggiamento in un appartamento freddo, perché manca il denaro per accendere il riscaldamento, che culmina prima con un trip a base di funghetti e poi in un piano folle su cui si regge tutta la narrazione del (mancato?) rapporto tra Astrolabe e Zoile.
Breve racconto fine a se stesso, ma con sprazzi molto intelligenti e da approfondire, è a prima vista un semplice divertissement sull’amore, anche se molto poco romantico e molto più politicamente scorretto. E invece, in 112 pagine, sono condensati molti spunti per il lettore attento: innanzitutto il gioco tra i nomi, non solo su quello di Alienor, rivelato dallo stesso protagonista che prima di scoprire la verità vi sente qualcosa di alieno nel senso quasi di divino e poi di alieno nel senso comune; ma soprattutto nei nomi degli altri protagonisti: Zoile e Astrolabe, nomi stranissimi, scelti dai genitori per motivi assurdi (rispettivamente: a caso tra sofisti bistrattati dalla storia o per vendetta) e che li uniscono come se il loro destino fosse nel nome.
E ancora, il riferimento alla “trama” della composizione shubertiana, basata a sua volta su poesie di Müller che narravano di un amante deluso che compie un viaggio difficoltoso proprio perché invernale, che lo porterà infine a un cimitero, e benché tutte le metafore svelino il desiderio di pace eterna del protagonista, la morte continua a non ragggiungerlo. Anche nel romanzo della Nothomb abbiamo l’amante deluso, e in uno dei pezzi più belli del romanzo insiste sul fatto che innamorarsi d’inverno non sia una buona idea, perché le sensazioni di freddo e d’amore vengono amplificate fino all’eccesso.
E sempre dallo stesso brano ricaviamo che l’autrice si diverte lei stessa a sfuggirci, incastrando in perle di saggezza dei sorrisi ironici o amari che comprendiamo solo dopo, o inserendo dialoghi che ci catturano per quanto astrusi e che vengono interrotti lasciandoci con l’insoddisfazione di non farne più parte. E subito dopo, nel pigro scorrere dell’inverno, inserisce la vivace e veloce narrazione del trip causato dalle droghe, uno dei quattro viaggi effettivamente compiuti nel romanzo: il primo, fatto dal protagonista adolescente per rinchiudersi solo in una casa a tradurre l’Odissea, il secondo, fatto in giro per Parigi quotidianamente per lavoro e poi per amore di Astrolabe, il terzo, quello causato dai funghi appunto, e l’ultimo. Ultimo in tutti i sensi a quanto pare.
Sì, perché nel romanzo, mentre siamo distratti dalla storia di conquista di un sentimento, aleggia la presenza della fine di tutto, causata da un doppio rifiuto dell’amore, vissuto come sentimento totalizzante ma impossibile da realizzare perché i personaggi sono fondamentalmente soli e tali vogliono restare. E se all’ironia spietata non sfugge l’amore, non le sfugge nemmeno la morte.
In uno stile semplice e diretto, tra riflessioni filosofiche, descrizioni del precariato lavorativo, visioni strampalate e una meta da rincorrere, la Nothomb ci presenta i suoi più tipici personaggi.
Forse non il migliore dei suoi romanzi, ma di certo da leggere.
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