Musica
Da dietro la cattedra di scuola al palco dell’Ariston
A tu per tu con Matteo Faustini
Il cantautore bresciano in gara alla 70esima edizione del Festival della musica italiana
Romina Ferri | 12 febbraio 2020

Il suo nome non è nuovo nella lunga lista di giovani che hanno tentato e che sognano di entrare a far parte della competizione più attesa a livello nazionale, ma questa volta Matteo ha conquistato la Commissione Musicale (composta da Leonardo De Amicis, Claudio Fasulo, Massimo Martelli e Gianmarco Mazzi) che lo ha premiato inserendolo tra gli otto cantanti che potranno gareggiare nella categoria Nuove Proposte insieme a Gabriella Martinelli e Lula, Tecla Insolia, Leo Gassman, Marco Sentieri, Fadi, Fasma ed Eugenio in Via di Gioia. Non tutti sanno, però, che nella quotidianità è anche un insegnante della scuola elementare che non crede al fato, alla casualità o al colpo di fortuna. Si è sempre messo in gioco e il duro lavoro lo sta ripagando più che bene.

Sin da bambino la musica ha ricoperto un ruolo centrale nella tua vita, dalla Scala di Milano nel coro delle voci bianche a tutti i concorsi e festival ai quali hai partecipato e in cui ti sei distinto. Ma come nasce questa passione?
La musica per me è più che una passione, è una necessità. Come dico in uno dei miei brani, “come in Harry Potter e le bacchette non sei tu ma è lei che ti sceglie”, non è stata una mia scelta quella di seguire la musica, ma sin da piccolo è stata quell’arte che mi faceva stare meglio. Ho iniziato a cantare grazie alle favole, alla Disney, e lo facevo di continuo e ovunque. Questa passione, o necessità, è nata con me, ce l’ho sempre avuta dentro ed è semplicemente un bisogno interiore che ho e che mi fa stare bene.

A 18 anni intraprendi un percorso cantautoriale. Cosa ti ha spinto a cambiare approccio nei confronti di questo mestiere?
A 18 anni ho fatto parte per diversi mesi di una tribute band di Michael Jackson e allo stesso tempo ho fatto musical. È stato tutto molto bello e mi ha insegnato tanto, ma allo stesso tempo mi rendevo conto che avevo la necessità di raccontare con le mie parole il mio mondo, i miei contenuti, la mia vita. Ho cominciato così a scrivere e a suonicchiare le mie prime canzoni (veramente brutte), ci ho provato e riprovato, e non mi sono arreso.

Alcuni cantanti, piuttosto che registrarsi sui social col proprio nome, preferiscono usare uno username singolare e rappresentativo. Il tuo su Instagram, infatti, ha catturato la mia attenzione. Cosa c’è dietro matteodaslegare?
Bella domanda. Sono un ragazzo molto timido. Agli inizi del mio percorso ero molto impacciato sul palco, non riuscivo mai a muovermi, avevo un’ansia esagerata, avevo paura di esprimermi, ero agitato e stonavo, mi facevo troppe paranoie sul giudizio della gente. E quindi, invece di essere “matto da legare”, sono “matteo da slegare”. Oggi, con l’esperienza, sono meno frenato rispetto a qualche anno fa, ma mi piace tenere questo username perché mi ricorda le origini di questo bellissimo percorso.

Se nel 2017 riesci ad arrivare finalista, l’anno scorso vinci Area Sanremo accedendo di diritto al Festival che ti vedrà all’Ariston nella categoria Nuove Proposte con Nel Bene e Nel Male, brano scritto da te e Marco Rettani. Come stai vivendo quest’esperienza?
Non riesco ancora a crederci. Sto vivendo questa esperienza al massimo, la vedo come una gigantesca opportunità e la voglio cogliere. Mi sto preparando per essere il più possibile all’altezza di quel palco con un team di professionisti che mi sta accanto. La sto vivendo con serenità, anche se un po’ d’ansia c’è, come è giusto che sia. La sto vivendo con il sorriso sulle labbra. 

Sfidando la superstizione, il singolo in gara andrà in radio venerdì 17 e sarà disponibile su tutte le piattaforme digitali. Canti che “in fondo è un bene che ci faccia male […] E in fondo è solo un bene perché ci fa stare insieme”. Che cosa vuoi dire? Come è nato questo pezzo?
In realtà non credo molto alla fortuna, alla sfortuna, al destino o al caso, tutto secondo me ha un preciso scopo. Con le parole “e in fondo è un bene che ci faccia così male” voglio dire che è grazie al male, al dolore e alla sofferenza che possiamo imparare. Il dolore è un acceleratore di esperienza: se viene accettato, metabolizzato e utilizzato per migliorarsi, si migliora in maniera esponenziale. Quindi “è solo un bene che ci faccia così male” perché dentro quel male c’è il bene, se riusciamo a prendere bene quel male. Non è solo un gioco di parole. Se una persona riesce ad esserci sia nel bene sia nel male e a trasformare il male in bene, allora si crea un “insieme” e quella persona ci sarà per sempre.

Ci sono progetti in cantiere? Magari un album…
Assolutamente sì: c’è il mio album di debutto “Figli delle Favole” in uscita il 7 febbraio. Sono felicissimo, mi rispecchio moltissimo in questo album e ogni volta che lo ascolto realizzo che è tutto vero. Cerco di raccontarmi sempre nel modo più vero possibile. È un sogno, non so se allo scoccare della mezzanotte il sogno si infrangerà ma sono già sulla carrozza di Cenerentola, ed è così bello. Saranno 11 tracce, 11 errori, 11 insegnamenti, 11 pezzi di me. Mi sento veramente privilegiato, anche solo per il fatto che mi è stata data l’opportunità di potermi fare ascoltare dalle persone. È tutto bellissimo, grazie!

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