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Fuggire non è servito: Tay-K è stato condannato a 80 anni di carcere
Redazione | 16 aprile 2025

Fuggire non è servito: Tay-K è stato condannato a 80 anni di carcere

La sentenza di Tay-K  si somma a quella per un altro omicidio

Photo Credits: United States Marshals Service

La storia di Tay-K si chiude dove è cominciata: tra le mura di un tribunale texano, con un giudice che gli parla come a un ragazzo che ha ancora una possibilità, ma con un verdetto che dice altro. Taymor McIntyre, 24 anni, è stato condannato a 80 anni di carcere per l’omicidio di Mark Anthony Saldivar, un fotografo ucciso nel 2017 durante una rapina.

È la seconda volta che una corte texana lo dichiara colpevole di omicidio: la prima, nel 2019, gli era già costata 55 anni per il coinvolgimento nella morte di Ethan Walker durante una rapina in casa nel 2016. Adesso, il totale delle condanne potrebbe arrivare a 135 anni, se la giudice Stephanie Boyd deciderà che dovrà scontarle consecutivamente. Se invece saranno congiunte, Tay-K avrà comunque davanti una vita intera in cella.

Tay-K è diventato un fenomeno virale nel 2017 con “The Race”, un brano registrato e pubblicato mentre era in fuga dalla polizia. In quel momento era ricercato per la morte di Saldivar e la sparatoria. Il brano, oggi a oltre 400 milioni di stream su Spotify, è diventato un caso culturale e legale insieme: un ragazzo ancora minorenne che raccontava la sua latitanza, costruendo un mito criminale in tempo reale.

Ma a distanza di anni, quel mito è crollato sotto il peso delle prove e delle testimonianze. Secondo l’accusa, Tay-K sparò a Saldivar durante il furto dell’attrezzatura fotografica, mentre si trovava ancora in fuga. La giuria, dopo ore di deliberazione, ha respinto la richiesta di condanna per omicidio capitale, ma lo ha comunque ritenuto colpevole di omicidio semplice.

Durante la fase della sentenza, la difesa ha portato in aula Kayla Beverly, sorella di Tay-K, che ha raccontato la storia di abusi familiari vissuti dai due fin dall’infanzia. I fratelli, rimasti orfani di madre in tenera età, furono prelevati dai servizi sociali e affidati a una casa-famiglia a Las Vegas, per poi essere restituiti al padre biologico in Texas. È lì che comincia il racconto da incubo: botte con cinture, punizioni corporali con assi di legno, e Tay-K legato a un’asse da stiro perché “piangeva troppo”.

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Un tentativo, da parte della difesa, di umanizzare un ragazzo trasformato troppo presto in criminale pubblico. Ma per la giuria non è bastato. La giudice Boyd ha rivolto a Tay-K parole pesanti, ma anche cariche di consapevolezza: “So che è una condanna lunga. Ma sei ancora vivo. Hai ancora tempo per migliorarti. Saldivar, invece, è morto. E tu devi interiorizzare questo. Dovrai cambiare”.

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